Ve la presenteranno come la serie in cui il Pacey di Dawson Creek si becca le corna, soggiogato da una tresca (The Affair, appunto) che vede protagonisti l’infedele moglie di lui e un maturo forestiero, anch’egli sposato e con figli. La solita minestra riscaldata, si potrà pensare leggendone il plot, condita in mille diversi modi nella storia del piccolo-grande schermo. Il cast, anche quello, a prima vista non rappresenta nulla di esaltante, con Joshua Jackson, appunto, come volto maggiormente noto tra gli interpreti presenti. Allora, com’è che questo The Affair si ritrova in lizza ai prossimi Golden Globes come miglior serie nella categoria drama? Ci proviamo noi a elencare qualche ragione: che ci crediate o no, sarà un compito estremamente agevole.

L’opera ideata da Sarah Treem e Hagai Levi (In Treatment vi dice nulla?), pur presentando un taglio prettamente televisivo, (in controtendenza con altre produzioni recenti di successo) possiede fondalmente una dote, affatto legata alla tecnica, e in particolare al background di ogni singolo personaggio: come la relazione clandestina tra Noah e Allison, il climax che si viene a creare in The Affair sin dall’episodio pilota crea dipendenza. É francamente difficile distogliere il pensiero dai risvolti che si attendono ad ogni episodio che segue, per una serie di fattori narrativi, dosati con molto equilibrio: non è solo una questione di sapere cosa accada tra i due amanti, è anche vedere l’azione-reazione dei rispettivi coniugi, caratterizzati anch’essi in maniera decisamente azzeccata.

Rimanendo sul piano narrativo, l’idea che davvero smuove gli equilibri, partorita dal duo Levi-Treem, è quella del policentrismo: la vicenda prende le mosse e prosegue sotto due punti di vista differenti, quello di Noah e quello di Allison. La turbolenta estate della cittadina turistica di Montauk, teatro della liaison galeotta, viene raccontata dai due protagonisti seguendo lo stesso corso di eventi, ma declinandoli secondo il proprio modo di vedere la situazione specifica e, in generale, la vita. Un espediente che contribuisce a rendere l’opera peculiare, oltre che a mantenere vivo l’interesse dello spettatore anche sul versante, quasi mai in primo piano ma sempre presente nello svolgimento, legato al thriller: sin dal primo episodio, oltre che intenti a fare acrobazie a letto o a consumare tenere passeggiate al tramonto, vediamo Noah ed Allison a colloquio con un agente federale, che deve far luce su un omicidio avente a che fare col loro pericoloso rapporto (e più tardi scopriremo l’identità della vittima, vicina alla donna).

Certo, qualche clichè del genere non manca (lo scrittore in crisi o la dialettica col suocero di successo), così come è palese che The Affair non punti esattamente sul carisma dei propri personaggi, nonostante le buonissime prove di Dominic West e Ruth Wilson, anche loro candidati ai Globes nelle rispettive categorie. La sensazione. però, è che i succitati stereotipi vengano usati a proprio favore: e che anzi, accennandoli e ribaltandoli, la serie Showtime sappia sfruttarli per creare una commistione vincente di thriller e love-story, realtà e finzione.

Difficile, parecchio, che The Affair possa dar filo da torcere, per la vittoria del premio, a prodotti come Game of Thrones o il favorito House of Cards. Decisamente più facile che, dando un’occhiata ai primi venti minuti del pilot, non la si molli più.

[Ph. Credits: Craig Blankenhorn/Showtime]