Provate ad immaginare la storia di un bambino di sei anni, la sua infanzia, i giochi con gli amici, e poi la sua adolescenza, le prime cotte, i primi drammi da teenager, i contrasti con i genitori, fino al diploma. Detta così la trama di “Boyhood” non sarebbe molto diversa da quella di tanti altri lungometraggi “di formazione”, ma il film di Richard Linklater è diverso. Sarà per l’etichetta che si porta dietro, di regista “indipendente e sperimentatore”, ma il suo Boyhood è davvero qualcosa di mai visto prima, e soprattutto mai realizzato. Dopo aver raccontato le diverse fasi di un amore con la trilogia dei “Before”, girati a nove anni di distanza l’uno dall’altro, Linklater si è lanciato in un progetto tanto innovativo quanto ambizioso. Trentanove giorni di riprese in dodici anni, dal 2001 al 2013. Tanto ci è voluto affinché questa pellicola vedesse finalmente la luce. Nessun problema tecnico o ostacolo economico. Dietro questa lunga gestazione, c’è invece una precisa scelta narrativa: filmare l’evoluzione “reale” di un personaggio, il suo invecchiamento in sincronia con quello del suo interprete. Ellar Coltrane stava per compiere sette anni quando fu battuto il primo ciak di “Boyhood. Oggi ne ha 18. Da bimbo ad adulto, è letteralmente cresciuto con la cinepresa di Linklater addosso.

Non c’è una vera e propria storia da raccontare tutto sommato. La trama è il passare del tempo. Seguiamo la vita del giovane protagonista dai sei anni, quando frequenta ancora la scuola elementare, fino ai diciotto anni, quando si appresta ad entrare al college. Accanto a lui i genitori divorziati (Ethan Hawke e Patricia Arquette) e la sorella maggiore Samantha (Lorelai Linklater, figlia del regista). Vediamo Mason (così come il suo interprete) crescere realmente davanti ai nostri occhi, di anno in anno, e passare attraverso gli accadimenti e i cambiamenti radicali della sua giovane vita: il divorzio dei genitori, nuovi matrimoni, nuove scuole, il primo amore, desideri, sogni, delusioni, dilemmi, decisioni da prendere e piccoli incidenti di percorso. Sullo sfondo l’11 settembre, le guerre in Iraq e Afghanistan, l’elezione di Obama.

Still dal trailer "Boyhood"
Still dal trailer “Boyhood”

L’idea di seguire l’invecchiamento di un essere umano non è del tutto estranea alle arti visive. Pensiamo alla serie di documentari “Up” di Michael Apted (che dal 1964 segue le vite di alcuni ragazzi inglesi ogni sette anni) o ai fotografi che catturano persone o luoghi, ogni giorno, per diversi anni consecutivi. Qui però si tratta di un film di finzione al 100%. Ma il fatto ancora più sorprendente è che ad essere ripresi siano sempre degli stessi attori. Come pubblico, infatti, siamo abituati ai salti in avanti, a vedere attori bambini diventare adulti nel giro di poche sequenze. Ma quello che solitamente si riesce a fare in pochi mesi affidandosi a più attori di diverse età o a qualche ingegnoso trucco dei makeup artist, Linklater l’ha fatto semplicemente lasciando che il tempo e la natura facessero il loro corso, che gli interpreti invecchiassero di pari passo ai loro personaggi. «Volevo scrivere una storia che parlasse dell’infanzia – ha detto il regista – ma non riuscivo a decidere su quale età concentrarmi. E mi è balenata questa idea: perché non girare un pezzo per volta e cogliere così l’intero processo della crescita?». Così ogni anno cast e troupe si sono ritrovati sul set per girare un nuovo capitolo della vita del ragazzo, fino allo scorso ottobre. Quasi dei piccoli cortometraggi che sommati l’uno all’altro restituiscono un vivido e realistico ritratto familiare nel trascorrere del tempo.

Still dal trailer "Boyhood"
Still dal trailer “Boyhood”

“Il dramma è la vita con le parti noiose tagliate”, diceva il maestro Hitchcock. Linklater fa esattamente l’opposto. Prende quegli insignificanti momenti di vita quotidiana, li riempie di senso e li somma insieme, l’uno dopo l’altro, in un flusso non-stop di vita senza soluzione di continuità. Non ci sono stacchi improvvisi né didascalie, i passaggi di tempo sono segnati dalle rughe sui volti dei personaggi, dai cambi di automobile o di abiti. È un po’ come sfogliare un album di famiglia, ma su pellicola. Le stesse persone, ma sempre diverse. Ethan Hawke ha definito il film come “un poema epico su minuzie”. Il che non è poi molto lontano dalla realtà. Non ci sono grandi misteri da svelare né grandi momenti drammatici che sconvolgono la vita dei personaggi. «Ho voluto attraversare la normalità della vita», dice il regista. “Boyhood” celebra l’ordinario. Sentimenti, situazioni, valori, tanto comuni da poterci riguardare in prima persona. È questo a rendere il viaggio nella vita di Mason ancora più intimo ed emozionante. E’ impossibile non guardare a lui e alla sua famiglia senza ritrovarsi a pensare al nostro cammino, a quel periodo della vita che ha plasmato la nostra identità, ci ha reso forti e pronti ad iniziare la vita da adulti.

Still dal trailer "Boyhood"
Still dal trailer “Boyhood”

Il film è stato uno dei maggiori successi del Sundance Film Festival 2014. I critici si sono affrettati a tesserne le lodi, tanto che poche settimane dopo lo stesso Linklater si è portato a casa l’Achievement Award per la regia del Festival di Berlino. Se “Boyhood” sarà il film dell’anno è presto per dirlo, bisogna aspettare l’uscita in sala prevista per l’11 luglio. Ma al di là della reazione del pubblico, di sicuro si tratta di un esperimento di narrazione filmica senza precedenti, forse irripetibile. Un pezzo audace e unico della storia del cinema, uno di quei film che vale una carriera e che è difficile non pensare come qualcosa di meno che un capolavoro.

[Cover Photo: Awardsdaily]