Essere parte di una immensa comunità virtuale possiede innumerevoli vantaggi, come lo stare sempre in contatto con le persone che amiamo e che si trovano lontane da noi e l’essere continuamente aggiornati su quanto accade nel mondo. L’informazione è divenuta una fonte di nutrimento irrinunciabile per ogni singolo componente della società e l’accesso ad essa è così semplice da destare qualche preoccupazione.
Con il passare degli anni ogni individuo ha ricreato nel web un proprio personale spazio vitale, nel quale esprimere la propria identità personale e in cui andare alla ricerca di qualsiasi nozione o informazione desiderata. E, se è vero che il punto di forza di Internet è la sua intrinseca libertà, i filtri che separano i soggetti in carne e ossa dal mondo cibernetico rischiano di rendere questo luogo qualcosa di simile allo stato di natura hobbesiano. In altre parole un luogo in cui il caos regna sovrano e nel quale impera il ‘diritto di tutti a tutto’.
Il rischio che si corre navigando nel web e interfacciandosi con le infinite galassie presenti al suo interno è proprio quello di travalicare i limiti imposti dalla legge e dal comune senso di decenza, assumendo comportamenti o compiendo addirittura azioni che nel mondo reale sarebbero perseguibili in via istantanea.
I fenomeni di bullismo online sono infatti sempre più frequenti, complici la semplicità dell’accesso al web e la possibilità elementare di ricreare identità fittizie a cui accollare le proprie malefatte.
Il cyberbullismo altro non è che mobbing in Internet, infatti per definirlo, si utilizzano termini come cybermobbing o internet mobbing. Esso si manifesta sotto forma di condotte illegali basate sull’uso dei media digitali e consiste nell’invio ripetuto di messaggi offensivi tramite sms, chat o dichiarazioni a mezzo Facebook, allo scopo di molestare psicologicamente una persona per un lungo periodo e rovinarne la reputazione.
Le prevaricazioni di cui si parla avvengono sempre tramite Internet o cellulare, in una sorta di ring nel quale i soggetti non sono però fisicamente uno di fronte all’altro, bensì separati da uno schermo.
Per il bullo virtuale è infatti molto semplice mantenere l’anonimato o porre fra sé e la vittima una considerevole distanza, in modo da potere attaccare senza la paura di una reazione.
Ed è proprio la impossibilità di reagire tempestivamente a mettere il bullo in una posizione di comando, minacciando la reputazione della vittima attraverso un meccanismo di gogna pubblica che nel web assume proporzioni smisurate. I messaggi oltraggiosi si diffondono alla velocità della luce in un bacino di utenti gigantesco; proprio per questo motivo le vittime non possono mettersi al sicuro dato che le ingiurie, una volta pubblicate, sono difficili da cancellare e possono essere consultate ripetutamente.

www.bullismoonline.it
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Da un’indagine europea, svolta in collaborazione con Telefono Azzurro, emerge che il 28,7% dei ragazzi, su un totale di 5042 studenti intervistati di età compresa tra i 12 e i 18 anni, è stato oggetto in almeno una occasione di bullismo sul web.
Uno dei casi più famosi di cyberbullismo giovanile è quello di Megan Taylor Meier, vittima americana di una tortura mediatica e morta suicida nel 2006 all’età di 14 anni. Megan aprì un account su MySpace e nel sito ricevette un messaggio da un certo Josh Evans che si disse molto attratto da lei. Qualche tempo dopo l’utente cambiò tono nei confronti della ragazza, scrivendo pubblicamente frasi ingiuriose del tipo ‘Megan è una prostituta’, ‘Megan è grassa’ e ‘Il mondo sarebbe un posto migliore senza di te’. La conseguenza di questo comportamento disonorante colpì l’adolescente al punto da indurla al suicidio. Prevedibilmente Josh Evans altro non era che una identità fittizia, dietro cui si celavano due insospettabili vicini di casa.
Naturalmente episodi di questo genere accadono anche in Italia come quello che riguarda la vita spezzata del giovane vercellese Andrea Natali, trovato dalla madre impiccato all’interno dell’ abitazione familiare lo scorso settembre. Nel suo caso i ‘bulli’ avevano postato su Facebook alcune foto offensive che lo ritraevano rinchiuso a forza dentro a un bidone dell’immondizia con un sacchetto della spazzatura in testa. Non solo, il ragazzo venne ridicolizzato anche attraverso un video postato su Youtube e in seguito al quale si rinchiuse in casa a causa di una forte depressione.
Casi come quello in esame sono molto più frequenti di quanto si possa immaginare e la preoccupazione che questa macchina miserabile possa colpire i più giovani è altissima.
Il fenomeno, che spaventa oltremodo perché espone gli adolescenti a eventi dolorosi e difficili da affrontare, non riguarda esclusivamente le nuove generazioni. Oggi qualunque individuo può essere oggetto di torture o rappresaglie mediatiche da parte di terzi, spesso sconosciuti o addirittura anonimi.
Il cyberbullismo colpisce in maniera sensibile i personaggi pubblici, ormai inesorabilmente esposti alle furie degli haters a causa della pubblicità dei propri profili social. Basta fare un giro su Instagram per capire di quale ferocia sia capace l’utenza dei social network e di come sia semplice rovinare una reputazione o creare semplicemente fastidio e malessere al prossimo.
Sono molti i personaggi famosi ad avere intrapreso battaglie contro i bulli del web, rei di avere postato pubblicamente dichiarazioni offensive o addirittura contenuti privati delle vittime.
L’esempio più popolare in Italia è il filmato pornografico riguardante la showgirl Belén Rodriguez, messo in rete da un ex fidanzato in cerca di popolarità e danaro, e le recenti offese subite su Facebook dalla signora Alba Parietti. Quest’ultima è stata colpita in più occasioni da una serie di ingiurie gratuite postate nei commenti di Facebook dagli utenti del social. Il contenuto offensivo e sessista di alcune esternazioni ha spinto la conduttrice a sporgere denuncia e a minacciare azioni legali contro i cyberbulli.
Questa è la sua dichiarazione apparsa su Facebook il 23 settembre 2015:
Da oggi raccolgo tutti gli insulti volgarissimi che ricevo da alcuni di voi per il solo fatto di aver detto che non si possono abbandonare e cacciare i profughi e rifugiati di guerra. Intendo girarli al mio avvocato e alla polizia postale oggi stesso per iniziare cause penali (con richiesta di risarcimento danni) il cui ricavato verrà devoluto in beneficenza agli italiani più bisognosi. Così siamo finalmente a posto con la coscienza. Voi liberi di insultare e io libera di aiutare i miei connazionali.’
La maschera dell’anonimato che nasconde l’identità dell’aggressore negli atti di cyberbullismo andrebbe maggiormente indagata nei suoi correlati psicologici dalle scienze sociali. La condizione di impersonalità dell’ aggressore e la conseguente mancanza di un confronto de visu con la vittima, favoriscono oltremodo una serie di fenomeni dannosi: il ‘disimpegno morale’ degli aggressori, la deumanizzazione delle vittime e la conseguente amplificazione della intensità dell’aggressione.
Il dato che emerge è che le vittime del cyberbullismo sono quasi sempre soggetti deboli o di sesso femminile, ovvero quella particolare categoria di individui la cui reputazione può essere rovinata, a causa di un difetto culturale ereditato da periodi storici bui come il Medioevo o il Fascismo, con maggiore leggerezza.
[Fonte Cover: www.wired.it]