Sorrisi, lacrime, rabbia, odio, disgusto: tutte le emozioni più comuni hanno conquistato un ruolo fondamentale nelle nuove forme di comunicazione, sui vari social e nelle chat. Le parole nude, fredde, digitali, non sempre sono in grado, nell’immediatezza delle relazioni e dei mezzi a disposizione, di far trasparire impressioni e sensazioni proprio come vorremmo.

Quando due individui comunicano, infatti, utilizzano, per produrre le reazioni mentali desiderate nella mente del destinatario, messaggi verbali, fatti di parole, messaggi paraverbali, composti da più fattori, come intonazione, pause o inflessioni e messaggi non verbali, come postura, gestualità e mimica.

Prossemica (autocollocazione dell’individuo nello spazio), cinesica e paralinguistica costituiscono l’80% della comunicazione, dal momento che solo il 20% del pensiero è veicolato dalla parola.

Sorge spontanea, dunque, una domanda: quanto si può parlare di comunicazione se, nelle nuove forme relazionali, via social e via chat, è impossibile attuarne la principale costituente? Si è cercata una soluzione nella creazione di una modalità utile ad integrare espressioni ed emozioni nel linguaggio digitale.

Nel 1982, il professor Scott Fahlman lasciò su una bbs, antenata degli attuali forum, un tris di caratteri (due punti, trattino e parentesi) poi entrato nella storia come “smiley” o emoticon, e divenuto oggi un vero e proprio codice comunicativo.

Così la punteggiatura va a sostituire quelle che sono le principali espressioni umane e lo smile va ad integrare la pesante assenza del linguaggio non verbale, impossibile da filtrare attraverso uno schermo. Palesiamo sul web le nostre emozioni, abusiamo delle emoticons per immediatezza, moda, spesso superficialità.

Nell’era digitale, la popolazione, fruitrice in altissima percentuale dei mezzi social, si è creata un modo per investire la totalità dei propri pensieri nelle varie relazioni digitali. E se da un lato l’inserimento di questo sistema è risultato chiarificatore nell’interpretazione delle conversazioni tra gli individui, dall’altro ha lasciato che i soggetti identificassero e stilizzassero le proprie emozioni, riducendone così la piena consapevolezza e il pieno dominio.

Tutti i sentimenti e gli stati d’animo sono, così, palesati, ostentati, riprodotti e speculari: attraverso i filtri dello schermo, ognuno di noi costruisce l’ideale di sé, presentando al suo interlocutore il meglio di quello che è: una comunicazione sul web, tra sconosciuti, risulta essere una comunicazione fittizia, pregna di meccanismi di interpretazione e immaginazione, veicolati attraverso pochi segni iconografici, che nascondono più di quanto mostrino.

Non si è collocati nello spazio, non si ha reale percezione di quanto ampio sia il numero di lettori a cui siamo esposti. Ci si sente liberi, con lo schermo a fare da scudo e la vita reale a fare da nascondiglio.

Viene simulata una conversazione faccia a faccia, con tanto di messa in scena del contatto fisico e di creazione di un ambiente virtuale visibile. Il carattere oralizzante della scrittura delle chat, emerge prepotente in elementi linguistici diversi: i segnali discorsivi legati al dialogo, le emoticons, gli ideofoni (ah ah per una risata), la spezzatura sintattica, la punteggiatura che riproduce l’intonazione parlata, parole interamente maiuscole ad indicare il tono di voce urlato, e così via” spiega la docente Ilaria Bonomi del Dipartimento degli Studi Letterari, Filologici e Linguistici di Milano.

E proprio sul distacco tra vita reale e vita simulata, sui social e nelle conversazioni in rete, si è incentrato lo studio condotto dal professor Alberto Fornasari e dal suo team di ricerca dell’Università di Bari. Osservare l’utilizzo dei social da parte degli adolescenti, esaminando un campione di oltre millecinquecento studenti delle scuole superiori, per meglio comprendere se la Rete (quella digitale) e i Social network, in particolare, siano un acceleratore o un ostacolo alla capacità di costruzione di una “rete” reale di relazioni e di conoscenze.

I risultati sono stati sorprendenti e inaspettati. Spiega Alberto Fornasari: “Il primo risultato che emerge è che il comportamento degli adolescenti, tutt’altro che patologico, denota una piena consapevolezza di cosa sia reale, distinguendolo dal mondo virtuale. Dalle risposte dei ragazzi, emerge che il web è usato per comunicare a livello intra-territoriale e non extra-territoriale. Insomma, internet ci può rendere cittadini NEL mondo, ma non cittadini DEL mondo, che è l’obiettivo finale dell’educazione interculturale, nonché sfida attualissima che le nuove generazioni si trovano ad affrontare.

La maggior parte degli intervistati afferma, dunque, di mettere in gioco, nella vita virtuale, attraverso i suoi mezzi, sentimenti autentici, pensieri formati e completi, non inibiti o disinibiti dal filtro dello schermo, cosa che invece accade più facilmente ai soggetti adulti.

Al momento, tuttavia, uno smile è tutto ciò che abbiamo per far arrivare un sorriso a chi vogliamo. Utilizzarlo con parsimonia ne incrementerà il valore.