Il problema, quando incroci uno come Federico Buffa, è l’inevitabile sensazione di trovarsi in una condizione di svantaggio. Che si parli della storia dei centrotavola o dei termosifoni elettrici, avrai sempre e comunque la percezione di avere a che fare con un master in materia. Bastano una parlantina allenata e una buona base di storytelling, si potrà pensare. Ci sono però due discipline – calcio e basket, in ordine intercambiabile – in cui l’Avvocato è palesemente testa e spalle (come direbbe lui) su tutti gli altri. Ed è qui che l’ordinario – e abusato – storytelling cede il passo ad un termine più appropriato e dalle origini che si perdono nella notte dei tempi: epos.
Perchè Storie Mondiali, che Buffa ci regala ogni imperdibile sabato, in seconda serata su Sky Sport, trasuda mito: sia quando si parla di storia privata, storia di individui, sia quando si fanno i conti con la Storia, con le vicende dei popoli. Utilizzando come catalizzatore universale il pallone che rotola.
Garbo da vendere e voglia di condividere – anzichè ostentare – il proprio sapere, Federico Buffa ha rilasciato a Il Giornale Digitale un’intervista esclusiva, in cui ci parla di Storie Mondiali (“è quasi tutto improvvisato, mi affido ai ricordi“) e della sua passione per la civiltà sudamericana, avanzando anche un pronostico per Brasile 2014.
– Ci sono gli autori, Christian Giordano, Carlo Pizzigoni, Sara Cometti, e ci sono il volto e la voce di Federico Buffa. Quanto c’è quindi di Buffa in Storie Mondiali?
Buffa: “Praticamente tutto. Il primo mondiale di cui ho coscienza è Inghilterra ’66: rimasi abbagliato da Wembley. Chi lo aveva mai visto un campo così? Da lì in poi è un susseguirsi di idee – tantissime – che si combinano coi miei ricordi personali. A sviluppare uno spunto ci si mette tanto tempo, però lo spazio televisivo è quel che è: io vado storicamente lungo e Sara è lì a dirmi «Fede, devi accorciarla». Siamo costretti a ottimizzare insomma. A margine di Germania ’74, per esempio, c’è la storia di Francisco Chamaco Valdès, che meriterebbe una puntata a sé: un giocatore che va a cercare un compagno di squadra del Colo-Colo, prelevato dalla polizia segreta di Pinochet, di cui si sono perse le tracce. Valdes si reca in udienza privata proprio da Pinochet, che gli risponde «se è un attivista non lo vedrai mai più, se non lo è – e ti voglio credere – ti do il lasciapassare»: il Chamaco lo trova e lo porta in tribuna ad assistere ad una partita surreale, Cile-URSS, valida per le qualificazioni alla fase finale, coi sovietici che però non si presentano per questioni politiche. Valdes cerca con lo sguardo il compagno, che gli dice «vai»: segnerà il gol più spettrale della storia del calcio, e che porterà il Cile ai mondiali del ’74. Ecco, un episodio del genere, per motivi logistici, non è stato possibile inserirlo nella trasmissione.”
– Non si tratta dunque solo di interpretare un testo scritto…
Buffa: “Nessun testo, è tutto improvvisato, tutto legato ai ricordi. Il problema semmai sorge quando interviene il passaggio musicale, lì lo sforzo d’improvvisazione deve essere raddoppiato.”
– Durante l’episodio di Messico ’86 hai detto che “una cosa è un Mondiale in Europa, un’altra in Sudamerica.”
Buffa: “Non è un caso se fino ad ora nessuna nazionale europea ha vinto un mondiale in Sudamerica. Anche perché c’è da dire che il calcio in Sudamerica si gioca in maniera diversa perché è diverso lì il modo di vivere. Il calcio europeo è più disciplinato e veloce perché la vita in Europa è più disciplinata e ha un ritmo più alto. Perchè dunque il calcio non dovrebbe adeguarsi a queste caratteristiche? Anche gli episodi che si sono verificati a margine dei mondiali sudamericani sono unici: non credo che un episodio come quello di Bobby Moore e del furto dell’orologio si possa mai verificare in Europa.”
“Il calcio in Sudamerica si gioca in maniera diversa perché è diverso lì il modo di vivere”
– Tanti i riferimenti alla cultura latina e sudamericana – su tutti Borges – da parte tua. Da cosa nasce questa passione?
Buffa: “Quelle di Borges sono le citazioni più facili, anche perché parliamo di uno dei maggiori intellettuali della storia dell’umanità. Credo che però l’uomo ottenga di più quando amplia i propri orizzonti culturali, sovrapponendoli, confrontandoli e scindendoli. La cultura sudamericana è in qualche modo così. C’è un episodio storico che ancora oggi mi colpisce, me ne sono reso conto quando la scorsa estate mi trovavo in Perù, proprio nell’esatto luogo (Cajamarca) in cui 500 anni fa Francisco Pizarro e i suoi cento soldati riuscirono a rapire l’imperatore Atahuallpa, in mezzo ad una folla di diecimila persone. Come se gli Incas stessero attendendo che una forza ineluttabile spazzasse via la loro civiltà millenaria. In Sudamerica si mescolano le radici di quell’impero, quello che portò l’arrivo degli iberici e quello che è accaduto dopo. Sviluppi completamente diversi rispetto alla nostra storia, in cui governa invece una linea razziale continua. Credo quindi che dove ci sia la mescolanza ci sia più fascino: l’alternanza fra le radici europee e quelle inca rendono unica quella parte del mondo.”
– C’è un episodio preferito di Storie mondiali? È forse Messico ’86?
“In realtà il mio preferito da raccontare è Uruguay 1930. Sono andato per una settimana a Montevideo prima di effettuare la registrazione, per toccare con mano i luoghi, quasi perduti, di quella storia. Io avrei preferito fermarmi alle prime dieci edizioni, al 1978, ma è chiaro che la preparazione delle edizioni meno recenti, con la ricerca delle immagini, sarebbe stata ben più complicata per la produzione. Certo, l’86 l’ho interpretato con passione, perchè è stato un mondiale unico, in cui non ha vinto proprio un collettivo, ma un uomo, lui (Maradona, ndr). Quell’Argentina era una squadra allo sbaraglio, prima del match con l’Inghilterra i magazzinieri avevano anche dimenticato le magliette. Perchè sono disorganizzati, perchè sono argentini. Diego li porta, quasi dal nulla, in cima al mondo, praticamente da solo. A proposito, l’episodio di Messico ‘86 è stato completamente improvvisato, non sapevo nemmeno di doverne parlare il giorno della registrazione. La produzione mi ha detto «prova, se ci piace la teniamo». É andata così.”
“L’episodio di Messico ‘86 è stato completamente improvvisato, non sapevo nemmeno di doverne parlare il giorno della registrazione”
– E i Mondiali che stanno arrivando? Sarà la volta buona per le europee per rompere il tabù Sudamerica?
Buffa: “Secondo me è la grande chance per le europee. Tutti dicono che il Brasile in casa non possa non vincere. Io ho invece seri dubbi sul fatto che la Seleçao possa reggere la pressione spaventosa di giocare il Mondiale in casa, non credo abbia un collettivo abbastanza forte da farlo. Le favorite a mio parere sono Germania e Spagna, con questi ultimi che con Diego Costa hanno colmato forse l’unica lacuna che avevano, in attacco. Se invece deve esserci una sorpresa, mi auguro che ad arrivare fino in fondo sia un’africana.”
– Per esempio? La Costa D’Avorio?
Buffa: “Tra le squadre africane che ci sono è sempre la più forte ma al tempo stesso è raro che faccia bene. Però è la squadra di Yaya Tourè, che personalmente adoro e considero giocatore ipersottovalutato. Le circostanze insomma sono dalla loro.”
– A parte la passione per il calcio e il Mondiale, credi che le tensioni in Brasile, tutt’ora in corso, potranno incidere sulla manifestazione e sulle prestazioni dei verde-oro?
Buffa: “Certamente. Anzi, credo che la gestione dell’evento proprio nelle strade sia una questione ampiamente sottovalutata. Il Brasile adesso avrà gli occhi del mondo addosso, la competizione si giocherà in diverse città e le manifestazioni si svolgeranno un po’ ovunque. Non ci sarà un bel clima fuori e non abbiamo ancora visto nulla di quello che succederà lì: perchè le proteste di cui sentiamo parlare non sono di origine favelista, ma attuate anche dalla borghesia. Sono stati spesi tanti soldi per presentarsi bene alla vetrina mondiale – e fra due anni ci saranno le Olimpiadi di Rio – senza però adeguare i servizi e le infrastrutture alle necessità del paese. Una politica in un certo senso impraticabile.”
– Mancano tre episodi al termine del ciclo Storie Mondiali: cosa ci aspetta?
Buffa: “Le ultime tre puntate saranno Usa ’94, Francia ’98, e Spagna ’82, che registrerò domani. Sarà la puntata più difficile da girare.”
– Perché?
Buffa: “Perché vince l’Italia e non sai mai come porti quando parli di noi.”
[Photo Credits: sport.sky.it]