La domanda che tutti i visitatori si saranno posti una volta usciti dai cancelli di Expo 2015 è: cosa accadrà dopo la chiusura dell’Esposizione Universale? Tante le ipotesi: dall’insediamento di strutture scientifiche alla creazione di una “Silicon Valley” dell’agricoltura e dell’agroalimentare. A 10 giorni dalla cerimonia di chiusura, il futuro delle aree dell’evento è ancora incerto.
Dopo 6 mesi è chiaro, invece, ciò che l’Esposizione Universale di Milano ha rappresentato per l’Italia sotto il profilo sociale, economico e culturale. L’immagine di un’Italia rinvigorita in tutte le sue sfaccettature, più sicura di sé e meno autolesionista, più aperta al mondo e meno votata ai sotterfugi.
Ne abbiamo parlato con Giacomo Biraghi, esperto internazionale di strategie urbane ma, soprattutto, digital pr di Expo Milano 2015. In vista di Expo 2015 ha coordinato per la Camera di Commercio di Milano il Sistema Integrato Turismo e i Tavoli Tematici. Un punto di vista privilegiato, quindi, su tutte le iniziative che prima e durante l’Esposizione Universale hanno gravitato attorno e dentro Expo Milano. Conosciuto come il re degli #expottimisti, il profeta di un movimento che ha creduto in questa occasione senza “se“ e senza “ma”, cavalcando con entusiasmo tutti i social media e diffondendo un sentiment positivo attorno al grande evento milanese.

Giacomo, partiamo da una tua affermazione dello scorso 24 febbraio: “Expo non è un evento all’italiana, dove serve avere l’amichetto, dove tanto tutto è già deciso, dove contano solo in pochi.” Dopo i 6 mesi di Expo confermi questa tua affermazione?
Ancora di più. Expo è stato un successo ed è stato un successo perché si è confermato un evento popolare e debole. Un evento che ha permesso a tantissimi di poter prendersene un pezzo perché, appunto, debole nei contenuti, non c’è nessun contenuto che ha prevalso su un altro, debole nella forma, non c’è nessun edificio che ha prevalso su tutti, e debole nell’organizzazione, nel senso che non è stata un’organizzazione verticistica, dall’alto verso il basso, che tendeva a selezionare, ma al contrario, come testimonia anche l’esperienza sui social network e sul web, che poi ho gestito più direttamente, è stata un’organizzazione che ha valorizzato i contenuti prodotti dai visitatori e dai partecipanti.
Snoccioliamo un po’ di numeri.
23 milioni e poco più di accessi ai tornelli, cui vanno tolti circa due milioni di lavoratori, che hanno anche loro acceduto ai tornelli, quindi, siamo oltre i 21 milioni di visitatori. Questo è un dato numerico significativo a cui si aggiungono i 60 capi di stato e di governo, più di 40 mila eventi, i 9 milioni di visitatori nella città di Milano, che ha in qualche modo positivamente risentito dell’evento. Qualche curiosità: 2 milioni di studenti delle scuole italiane, quasi 1 su 5 di tutti gli studenti italiani. Non ce li aspettavamo così numerosi e così presenti. Anche il gradimento sul web e sulla stampa internazionale, con un sentiment positivo che da 35% ha superato l’80%, è un altro tema che non era scontato.
Gli unici due aspetti negativi evidenziati dalla maggioranza dei visitatori sono le troppe code (lo dice il 73% di loro) e i ristoranti troppo cari (per il 47%). L’85% dei visitatori ha però espresso un giudizio positivo di gradimento (dati Coldiretti-Ixè).
Oltre al dato che citavo prima sul sentiment web, anche i visitatori fisici hanno gradito fortemente l’evento dovendo, soprattutto negli ultimi 45 giorni, confrontarsi con un’affluenza elevata e quindi subire tutti i disagi dei grandi eventi e dei parchi tematici.
I padiglioni stranieri sono stati i preferiti dai visitatori, Giappone e Cina su tutti, che forse erano anche quelli con più code…
In realtà la coda non è sinonimo di affluenza, perché i padiglioni che hanno fatto più visitatori sono sicuramente gli Stati Uniti e la Russia, tra i 5 e i 6 milioni, perché erano dei padiglioni a flusso libero dove non vi erano delle esperienze limitate nel tempo e nel numero dei visitatori, come, invece, il padiglione del Giappone che ha fatto circa tra i 2 e 3 milioni di visitatori perché prevedeva un’esperienza di 50 minuti con una limitata capacità. Direi, quindi, che se dobbiamo individuare quelli più di successo è certamente l’Asia, il Far East e il Middle East, quindi, dal Kazakistan, Azerbaigian, agli Emirati fino al Giappone. È l’Est del mondo che ha interessato particolarmente il pubblico italiano, ossia il 60% dei visitatori.

Quali differenze hai avuto modo di notare tra il 1° maggio e il 31 ottobre?
Sicuramente nella percezione dell’Italia, che si è fatta in qualche modo vanto di questa manifestazione anche per simboleggiare un desiderio di ottimismo e di ripresa che Expo non ha significato direttamente ma ha rappresentato a livello di story test. Nel sito è cambiato niente e tutto in questi sei mesi. Nulla di ciò che era presente perché è stato il primo Expo, dal 1851 ad oggi, che come sappiamo ha aperto con tutte le attrazioni e i padiglioni pronti all’apertura, ma è cambiato nel modo di essere vissuto. I primi tempi c’era questa timidezza, dopo 4 anni in cui profeti di sventura avevano completamente svariato indicando ritardi inesistenti e difficoltà che poi non sono avvenute. Le persone si stupivano nel vedere, anche con una certa timidezza, che, invece, tutto era pronto e funzionante. Poi questa timidezza è scomparsa ed è diventato un evento da prendere d’assalto.
Abbiamo, quindi, lasciato al mondo l’immagine di un’Italia propositiva e decisa in quello che fa…
Direi di sì. Un’Italia capace di fare un passo indietro e capace di ospitare i mondi e gli italiani senza arroganza, senza l’atteggiamento elitario di professori concettuali, di gran parte di politici e giornalisti che sono quelli che, invece, tifavano contro.
Andiamo per un attimo al tema “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”. Quanto è stato fatto in tal senso?
Il tema di un parco a tema, come un Expo, è semplicemente un gap generico che viene posto ai partecipanti, agli Stati, alle associazioni del terzo settore, alle organizzazioni non governative. In questo senso, quindi, Expo non ha un’utilità, non ha l’obiettivo di consolidare un messaggio, non è un organismo deliberante, dove si vota, dove si produce un protocollo, una dichiarazione, una carta. È un luogo di dibattito, uno spazio democratico, popolare, quindi, penso che tramite l’esperienza, un’esperienza semplice, diretta, tanti abbiano colto il loro Expo. Io non so quale sia, dato che a mio avviso non c’è il risultato di Expo. Ci sono tanti risultati quanti sono i visitatori, ognuno dei quali ha preso il suo. Certo, Expo non ha salvato l’Italia, Milano, l’Europa, né ha risolto la fame nel mondo.

Oltre 14 mila incontri di business dove le imprese italiane partecipanti hanno avuto la possibilità di incontrarsi e confrontarsi con aziende e buyer internazionali. Un’occasione unica per la crescita della nostra economia.
In realtà l’Italia è una potenza industriale, secondo Paese per export in Europa. Expo è stato, quindi, un’occasione per consolidare un percorso che c’è già. Tra questi incontri sono nominati una minima parte degli incontri che normalmente vengono fatti comunque in Italia, quindi, ancora una volta non c’è stato neanche sul business un effetto diretto di Expo, ma un’occasione per raccontare ciò che l’Italia è già da tempo.
Pier Andrea Chevallard, direttore di Promos e di Unioncamere Lombardia, afferma che Expo ha “accelerato il business di 15 anni”. La ritieni un’affermazione verosimile?
Sicuramente. A livello di percepito sicuramente. Direi che questo è un elemento significativo. Speriamo che non finisca qui, che tutte le iniziative come per esempio Expo Business Matching, che è questa piattaforma che Promos e Expo hanno promosso e che ha portato a una parte di questa decina di migliaia di incontri, proseguano. Che Expo in città in tema valorizzazione città di Milano continui. Che E015, la piattaforma di open service così utilizzata e innovativa, unica al mondo non finisca. Tutto, insomma, non finisca qui a Milano, né qui col 31 ottobre scorso.
Veniamo alla questione di cui tanto si dibatte in questi giorni: eredità di Expo 2015.
L’eredità fisica è tutta da scoprire. Alla fine è un’area piccola, non centrale seppur ben collegata, quindi, mi auguro si trovi una soluzione di buon senso. Martedì 10 ottobre Renzi verrà a Milano a proporre il piano Italia 2040 e sicuramente una soluzione in tal senso ci sarà. La più importante legacy è certamente quella legata all’entrata dell’Italia nel Pop, alla fine dell’elitarismo degli intellettuali, dei professori e di un certo cinismo e schifo verso il popolo che con Expo finisce. L’Italia entra nella contemporaneità. La contemporaneità del Pop che alcuni dicevano a noi estraneo. In realtà si è visto con la pancia di 18 milioni di italiani che l’Italia è popolare e contemporanea così come gli Stati Uniti, Dubai e la Cina.
Quanto ha contato per il successo di Expo essere #expottimisti?
È stato uno degli elementi di un team vasto, di un sistema di attori e anche di un sistema di comunicazione articolato. I 1000 expottimisti che hanno messo la loro faccia sul sito internet degli expottimisti, i più di 4000 incontri in 100 luoghi diversi d’Italia che sono avvenuti in questi due anni, la presenza online che fa dell’hashtag #expottimisti il terzo più diffuso su Expo, dopo #expo2015 e #milano. Lo spin positivo che questo movimento di popolo, di persone, fisico e online è stato uno degli elementi di un sistema di comunicazione articolato che ha contribuito già dall’inizio a dire che non era solo negativo e, nel durante, a catalizzare chi pensava positivo.
Grazie a Giacomo Biraghi da Il Giornale Digitale