Vincenzo Cosco nella tarda serata di ieri ci ha lasciati. Ha lottato come un leone contro quel cancro che lo aveva preso per la seconda volta, ha provato ad uscirne di nuovo. A vincere lui. Come “gli uomini che combattono”, che amava dire che non perdono mai. Ma a volte, nella vita, succede che anche chi combatte possa perdere. Succede che anche l’uomo più grintoso, nella battaglia più difficile, possa non farcela. E Vincenzo Cosco questa volta non ce l’ha fatta, lasciandoci così.

Ci saluta l’allenatore di Santa Croce di Magliano. Lo sapeva anche lui che era partito da un posto che non conosceva nessuno. Un comune di 4.000 abitanti in Molise, al confine con la Puglia e con la provincia di Foggia. Aveva allenato la propria squadra del cuore, il Campobasso. E ci aveva anche giocato. Così come aveva vestito in carriera da calciatore le maglie di Termoli, Castel di Sangro, Turris Santa Croce ed Aurora Ururi. Prima di iniziare ad allenare per continuare a rincorrere un pallone, ed un sogno che ha caratterizzato tutta la sua esistenza. Iniziò ad allenare nel 1996, quando aveva appena 32 anni. Un allenatore giovane. Capace di sfruttare a pieno l’età e la voglia di studiare, di informarsi, di rivoluzionare le regole di un calcio nel quale forse non si è sempre riconosciuto, e di arrivare in alto. Con la gavetta. Al contrario dei tanti ex calciatori affermati che partono già dalla Serie A. Non aveva avuto questo privilegio, ma voleva prenderselo con il sudore e vincendo campionati nelle categorie basse. Dove il calcio sembra pallone. E dove Cosco sembrava un predestinato.

Era partito dall’Eccellenza con la Turris alla fine degli anni ’90. Per arrivare alla Serie D, all’interregionale. Ci era arrivato con il Bojano, vincendo sul campo un campionato di Eccellenza. La prima vittoria, di una lunga serie interrotta comunque troppo presto. Aveva vinto un campionato di Eccellenza anche a Termoli, riportando il club molisano in Serie D. Si era affermato come uno dei migliori allenatori della Serie D. E l’aveva fatto anche per troppo tempo quel campionato che figura tra i dilettanti, ma di fatto è la prima categoria professionistica, o quasi. Ed è un campionato durissimo. Due campionati a Vasto con la Pro, in quell’Abruzzo che avrebbe imparato ad amare, dove si sarebbe consacrato. Il secondo anno con la Pro Vasto arriva secondo in campionato ma vince i play-off contro il “suo” Bojano, e la squadra teatina sarà ripescata in Serie C. Ma a lui toccherà ancora la Serie D, con l’Atessa Val di Sangro. Ancora in quel girone F difficilissimo da vincere. Ma se il primo anno arriva ad un passo dai play-off, il secondo vince il campionato. E va in C2. Questa volta tocca anche a lui, che al primo anno tra i professionisti con una realtà tanto affascinante quanto sorprendente come l’Atessa arriva sesto. Arrivano le chiamate di Paganese e Sopron (prima serie ungherese) ma finiscono male entrambe le esperienze. Poi ancora la spola tra C1 e C2, e le salvezze tra Campobasso e Andria. Prima di tornare a quella Serie D che sapeva come vincere. E che vincerà a Matera. Per poi, quest’anno, andare alla Torres. Lasciata con una vittoria in rimonta contro la Cremonese. Prima di sapere che forse non avrebbe più allenato.

Vincenzo Cosco ci piace ricordarlo con i propri successi. Con quella voglia matta che aveva di calcio, e di allenare. Che era il suo mondo e la sua vita. Quella che ti ricorda che è un peccato perdere persone così. Andava in giro con la sciarpa della propria squadra, e con quel ciuffo da ragazzo ribelle assomigliava a Roberto Mancini. Ma guai a dirglielo. Aveva con sé una tracolla dell’Inter. Per metterci dentro appunti, formazioni, distinte. E portare in giro il proprio mondo e le proprie idee. “Non sono interista, ma me l’ha regalata Josè Mourinho, il miglior allenatore al mondo per distacco”, diceva. Lo chiamavano “The Special Wolf”, in onore del proprio idolo. Che magari un giorno avrebbe raggiunto, ma non ci è riuscito. E amava ripetere che i sogni aiutano a vivere. Lo aveva detto quando aveva scoperto di essere di nuovo malato di cancro, con la solita grinta. Ci mancherai, mister. Dovunque tu stia allenando ora.