Non dimentichiamo mai che il “blogger” che chiede prodotti e recensisce di tutto, dalla carta igienica agli smartphone, non è vero influencer.

Se prima della rivoluzione mediatica portata da Internet, la capacità di poter comunicare con un largo pubblico era riservata ad una ristretta élite di persone, oggi le cose sono cambiate radicalmente. Per esercitare influenza su un’ampia fetta di pubblico non è più necessario aver accesso ai media tradizionali o ricoprire un ruolo politico e amministrativo di grande livello. Tutti quanti abbiamo potenzialmente le capacità e gli strumenti per diventare dei personaggi pubblici, comunicatori, giornalisti e registi.

Tutti potenzialmente, pochi realmente.

Perché se è vero che oggi l’accesso alla comunicazione “che conta” possiamo averlo tutti, è altrettanto vero che il rumore di fondo di comunicazioni ridondanti e molto simili rende complicato far sentire la propria voce. La formula della comunicazione efficace non esiste. Quello che serve è saper analizzare il mercato e il suo target di riferimento e comunicare in modo efficace. Essere in grado di rispondere in modo soddisfacente a una domanda del nostro pubblico, ad una sua problematica. Rispondere all’esigenza di un pubblico e promuovere allo stesso tempo la propria credibilità, fondamentale per ottenerne l’attivazione. Questo pubblico infatti non si attiverà se non riconoscerà nella persona il suo valore reputazionale. Quelli che, nell’ambito del proprio target, riescono a bucare il muro della diffidenza e a comunicare con grande efficacia al loro seguito sono appunto gli influencer: figure professionali che possono rappresentare un grande valore per le aziende.

L’influencer marketing è uno dei mezzi più dirompenti, efficaci e al tempo stesso controversi che ci sia in questo momento nella comunicazione digitale.

Abbiamo intervistato Matteo Pogliani, digital strategist, consulente di comunicazione e blogger, autore del libro “Influencer marketing: valorizza le relazioni e dai voce al tuo brand”, edito da Dario Flaccovio Editore. Matteo si occupa, in Open-Box e nel suo blog matteopogliani.it, di dar vita a strategie in grado di sostenere i percorsi di enti e aziende nel variegato mondo del digitale. Con lui abbiamo approfondito un tema molto in voga in questo momento, e che può essere una grande opportunità per le aziende, se sfruttate nel modo giusto, fermo restando che la sfida del futuro sarà quella di riuscire a distinguere gli influencer dai presunti tali. Ma come si fa? Ecco cosa ci ha detto:

Credits: Matteo Pogliani
Credits: Matteo Pogliani

Chi è l’influencer, oggi? È possibile mapparne competenze o elementi essenziali del suo ruolo?

L’influencer è una figura che, grazie a particolari qualità riconosciute quali competenza, capacità comunicative e relazionali, è riuscito a guadagnare una posizione preminente in un network, diventando punto di riferimento per gli utenti. A me piace dire, per dare concretezza, che gli influencer sono coloro che fanno accadere le cose!

Oggi, attraverso attività specifiche e tool dedicati, è possibile mapparli e definirne le principali caratteristiche, così da poterli coinvolgere in attività di marketing. Perché è essenziale mettere la persona giusta al posto al giusto.

Leggo dal tuo libro: “l’influencer marketing è una forma di marketing che si fonda sull’identificazione delle persone che hanno capacità d’influenza su potenziali target”. Quali passaggi chiave emergono da questa descrizione?

La necessità di coinvolgere le giuste figure, affini per ambito, stile, competenza, settore in attività legate al brand. Persone che, grazie alle caratteristiche descritte, riescono ad avere credibilità ed autorevolezza sul proprio seguito e quindi, in parte, ad influenzarne le scelte. Non meno importante è il legame con il termine marketing: un fatto che ci spinge a cercare di creare progetti performanti ed i cui risultati possano essere misurabili.

In un recente articolo di Riccardo Esposito ho letto che L’influencer marketing sta cambiando. Mi confermi che Google sta monitorando in maniera differente recensioni, articoli e usi distorti delle relazioni?

Queste notizie possono avere certamente impatto, ma alla fine spostano l’attenzione dall’elemento essenziale: la necessità di dar vita a relazioni in grado di generare valore condiviso. Non nego che una maggiore stretta possa poi eliminare o quantomeno limitare usi distorti. Non dimentichiamo mai che il “blogger” che chiede prodotti e recensisce di tutto, dalla carta igienica agli smartphone, non è vero influencer.

Più controlli significa più trasparenza e professionalità. Non a caso molte Istituzioni stanno imponendo la dicitura “advertising” ai post di Instagramer che mostrano prodotti.

Video Recensione "Influencer Marketing" di Matteo Pogliani

Oggi è il 17 febbraio 2016, e anche se per molti di voi è una data insignificante per me è invece molto importante. Perché?Perché finalmente, dopo tanta attesa, esce il libro del mio fratello digitale, Messer Matteo Pogliani, "Influencer marketing", edito da Dario Flaccovio Editore. Volete sapere perché NON POTETE NON COMPRARE il suo libro? Ve lo spiego in questo breve video! In bocca al lupo Matteo, ti voglio un gran bene!Potete comprarlo qui: http://www.webintesta.it/prodotto/libro-influencer-marketing/

Pubblicato da Socialmediacoso su Mercoledì 17 febbraio 2016

Come siamo arrivati a questo potere degli influencer e perché molte aziende continuano a sottovalutare questa leva?

La rivoluzione della Rete ha permesso ad ognuno di noi di diventare un publisher e proporre la propria opinione ad una sempre crescente cerchia di persone. Tutti possiamo scrivere, registrare, girare video e proporli al mondo con tutto ciò che ne consegue. Credo che le aziende comprendano perfettamente le potenzialità della comunicazione mediata dagli influencer, ma che non riescano ancora a digerirne le strutture. Una su tutte il demandare ad altri il controllo, abituati come sono i brand a gestire sempre anche il più piccolo aspetto.

Finché non comprenderanno che parliamo di persone e che bisogna partire dalle relazioni ci sarà ancora tanto da fare. Con gli influencer si lavora insieme, non è un semplice servizio “comprato”.

Credits: Matteo Pogliani
Credits: Matteo Pogliani

Assolutamente. Se è vero che tutti, nel nostro piccolo, siamo influencer, quelli più appetibili per le aziende sono le figure in grado di avere un rilevante livello, quantitativo e qualitativo, di audience. È lavorando sul proprio personal branding che è possibile crearsi una positiva reputation, e da qui poi crearsi un certo seguito, diventandone riferimento.

La reputazione è diventata un risorsa primaria per le aziende: è vero che il numero e la qualità delle relazioni sono il reale valore del terzo millennio?

Hai toccato un punto chiave. Le relazioni saranno sempre di più e il reale vantaggio competitivo delle aziende consisterà in quello che viene chiamato “capitale reputazionale” e che il noto sociologo Adam Arvidsson definisce così:

“La prossima economia sarà un’economia etica non più basata sul lavoro, come è stata l’ultima economia capitalistica, ma sull’abilità di costruire relazioni sociali eticamente significative”

L’imprenditrice Tara Hunt nel suo “The Whuffie Factor: Using the Power of Social Networks to Build Your Busines” parla addirittura del wuffie (termine preso in prestito da Cory Doctorow in Down and out in the magic Kingdom), una moneta sociale, una moneta che aumenta nella valorizzazione delle relazioni e del network.

Credits: Matteo Pogliani
Credits: Matteo Pogliani

L’influencer marketing è solo una questione di numeri?

Mai. Come sempre sono importanti e vanno certamente considerati, ma non possiamo fermarci solo a quelli. Se valutiamo solo il lato quantitativo rischiamo di perdere per strada gran parte delle migliori risorse legate all’influencer marketing: la competenza, l’authority, la credibilità che gli influencer riescono ad aggiungere alla comunicazione di un brand. Le relazioni si fidelizzano quando diamo contenuti di qualità e soprattutto utili, quando cioè diamo risposte alle necessità degli utenti. Come dico sempre, “non si vive di soli follower”.

Come si “misura” l’influenza e con quali mezzi?

Questa rappresenta forse il tema più spinoso. Ci sono molte scuole di pensiero e altrettanti tool che cercano di dare misura ad un elemento, l’influenza, che di misurabile concretamente ha poco. Per questo bisogna spesso valutare parametri collegati. La capacità di diffondere un messaggio e creare coinvolgimento negli utenti penso siano due di questi, dati misurabili che fanno capire il trust e l’authority di cui gode l’influencer. Sono però tanti i parametri che vanno tenuti in considerazione per comprendere le capacità di un influencer, capacità che variano molto a seconda dell’obiettivo che volgiamo raggiungere. Se desideriamo visibilità sarà fondamentale l’audience e l’eco, se vogliamo fare lead generation la competenza verticale. Si parte sempre e solo dalle finalità.

Allineandosi agli influencer, i marchi ricevono una forma di validazione peer-to-peer e riescono là dove il marketing tradizionale spesso fallisce”: con questo tipo di marketing la comunicazione è diventata orizzontale?

Direi che quantomeno ci prova, diventando un dialogo, in cui non c’è differenza (almeno apparente) tra le parti. Persone che parlano ad altre, simili e affini. Questo è uno dei punti che riesce a dare maggiore impatto ai messaggi, dandogli forte credibilità e soprattutto evitando di farli divenire semplice advertising, quello stesso advertising che la gente considera sempre meno.

Qual è il modo ideale per coinvolgere e “utilizzare” un influencer?

Lavorarci insieme. Dare vita a progetti, come dice Rudy Bandiera, WIN-WIN-WIN, in cui tutte le parti vincono. I brand perché raggiungono con efficacia possibili target, gli influencer perché propongono contenuti di valore, gli utenti perché ricevono risposte concrete alle loro esigenze. Per far questo bisogna sempre puntare a dar vita e a far crescere le relazioni. L’influencer marketing, quando ben fatto, non è mai one shot. Bisogna “coltivarlo”, facendolo crescere giorno dopo giorno.

Un video molto interessante, che spiega il Principio dei 3 fattori di influenza, è stato postato sulla sua pagina Facebook da Rudy Bandiera.

Il Principio dei 3 fattori di influence

Il Principio dei 3 fattori di influence, ovvero come individuare gli influencer e misurarli :)Per approfondire: http://www.rudybandiera.com/identificare-influencer-0315.html

Pubblicato da RudyBandiera.com su Martedì 15 marzo 2016

È vero che l’influencer giusto al posto sbagliato può diventare un problema?

AMEN! Tanto possono dare in positivo, quanto possono togliere se gestiti male. Con la loro posizione rilevante e l’autorevolezza che hanno su ampie platee possono davvero creare grattacapi, danneggiando la brand reputation. Per questo la loro gestione dev’essere professionale, perché così evitiamo sul nascere qualsiasi eventuale problema. Basta un contatto gestito in modo sbagliato, un progetto portato avanti male ad innescare reazioni negative e tramutare un possibile alleato in una situazione di crisi. Prima di coinvolgere un influencer facciamoci due domandine e siamo sicuri di non avere scheletri nell’armadio.

In conclusione, qual è lo stato dell’influencer marketing in Italia?

Sta nettamente crescendo. Lo si nota dall’enorme buzz sul tema e dalle tante campagne che iniziano a comparire su web e social. Un incremento che sarà continuo e segnerà sempre più le attività di comunicazione di agenzie e aziende. La ricerca annuale promossa da Augure ci racconta che se l’84% dei professionisti internazionali utilizza progetti con influencer, in Italia questa percentuale scende al 60%. Un dato più basso ma che anno dopo anno punta più in alto. Se fino ad adesso non l’avete considerato, forse è tempo di cambiare idea!