Si incrociano, a volte viaggiano parallele, altre volte ancora rispecchiano esattamente quello che siamo. Sono le nostre vite, online e offline, dentro i social e fuori, nella nostra quotidianità.
Sta a noi, in fondo, decidere se debbano coincidere o meno, sta a noi definire i confini, gli spazi da gestire e mostrare. E i limiti sono spesso labili, dettati dal nostro lavoro, dalle amicizie, oscillando tra un voler esserci e un dover esserci.
Lo strumento è lo smartphone, compagno delle nostre giornate, amico inseparabile dal risveglio fino alla buonanotte, custode di ogni momento degno di essere immortalato. Un utilizzatore assiduo arriva a controllarlo fino a 80 volte in 24 ore, in media una ogni 12 minuti; di questi solo 8 sono destinati alla conversazione. Il tempo che dedichiamo allo smartphone lo passiamo tra Whatsapp e Facebook, tra chat e post (Fonte Ansa).
La condivisione dei nostri dettagli passa attraverso la voglia di affermare a gran voce qualcosa, oppure sollecitata da catene, quelle che una volta erano le famose catene di sant’Antonio.
Le ricordiamo quando anni fa viaggiavano via posta e arrivavano puntuali nella nostra cassetta con l’obiettivo di diffondere dei messaggi. Ora sono supportate da testi come: “Condividi se anche tu se sei felice/hai vissuto questo momento…”. La richiesta è quindi di condividere uno status, con delle foto e di ricopiare il testo taggando un certo numero di contatti.
L’ultima è stata chiamata Sfida delle mamme, il meccanismo virale della nomination è rivolto infatti alla figura materna, e spingeva le nominate a mostrare tre foto che rappresentassero la gioia di essere mamme. La catena, nata inizialmente come campagna contro l’utero in affitto, ha perso quasi subito questa connotazione per diventare una festa di madri e figli.
Sono stata nominata per postare qui 3 foto che mi rendono felice di essere mamma! Nomino 6 mamme che trovo fantastiche per la sfida delle mamme, chiedo loro di inviare a loro volta 3 foto. Copia e incolla questo testo e nomina altre super mamme“: tempo pochi giorni e la catena ha assunto proporzioni enormi, fino a evidenziare un pericoloso risvolto legato alle immagini condivise, un materiale immenso di bambini anche molto piccoli che poteva finire nelle mani dei siti pedopornografici.

A innescare la discussione con un messaggio molto duro è stata la Polizia di Stato dalla sua pagina Facebook: “Mamme. Tornate in voi. Se i vostri figli sono la cosa più cara al mondo, non divulgate le loro foto in Internet. O quantomeno, abbiate un minimo di rispetto per il loro diritto di scegliere, quando saranno maggiorenni, quale parte della propria vita privata condividere“.
Un dato importante supporta questo invito: più della metà delle foto contenute nei siti pedopornografici provengono da immagini condivise dai genitori.

Questo episodio è solo l’ultimo di una lunga serie e ci spinge ancora una volta a riflettere sulla “condotta” da tenere in quello spazio, chiamato social, che è molto meno virtuale di quello che pensiamo. Lo dimostra anche il caso della maestra di Ferrara, che si è rivolta direttamente all’Accademia della Crusca per il vocabolo coniato dal suo alunno, il famoso “petaloso”. Le distanze si abbattono, tutto è alla portata di tutti, in un mondo che in pochi secondi rimbalza da un click all’altro. Un’evoluzione affascinante, ma al tempo stesso pericolosa, dove a fare la differenza è l’uso dello strumento.

Abbiamo approfondito l’argomento con la dott.ssa Antonella Bozzaotra, psicologa e psicoterapeuta, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Campania.

Fonte: altrimondinews
Fonte: altrimondinews

Dottoressa Bozzaotra, dal suo punto di vista che cosa “nascondono” questi fenomeni e soprattutto perché ci si sente in dovere di partecipare? Per chi non partecipa c’è il rischio “esclusione”?

In realtà più che nascondere mettono in evidenza qualcosa. Mostrano che è cambiato il modo di stare insieme, il modo di scambiare esperienze, idee. Prima ci incontravamo in luoghi fisici e ci scambiavamo idee sulla nostra vita, ora lo facciamo attraverso i social.
Il fatto che sia virtuale non significa che non esista, è un altro modo di incontrarci con delle modalità tipiche di quel mezzo. Il fatto che non ci sia l’altro di fronte mi permette di fare una serie di cose che altrimenti non faremmo, nel bene come nel male.

Sui social si abbattono le barriere: questo è un bene o un male?

I social come tutte le innovazioni hanno in sé degli aspetti di sviluppo per la comunità intera, al tempo stesso tutto quello che è sviluppo può essere usato male. I social network sono indubbiamente un grande veicolo di sviluppo e progresso, non possiamo non tenerne conto.

Assistiamo sempre più di frequente a scambi genitori-figli sui social, come appunto l’ultima sfida delle mamme testimonia.
Padri e madri hanno il “dovere” di parlare un linguaggio digitale per comprendere i propri figli? E come possono gestire le esagerazioni legate allo smartphone?

I genitori hanno sempre provato a controllare i figli, il problema non è questo, ma come si crea un legame che prevede la confidenza, senza passare per l’intrusione. Avere un legame di intimità è qualcosa che non prevede l’intrusione, prima si faceva sbirciando il diario ora lo si fa andando su Whatsapp.
Non credo che si possa parlare di dipendenza dei giovani, si tratta di un modo di stare in contatto tra loro. Piuttosto bisognerebbe promuovere una cultura del mezzo, legata alle tecnologie. È una questione di grande importanza che riguarda l’intera società, i genitori sono solo una parte di un intero sistema. Il vero problema è l’appiattimento del desiderio sul bisogno: nel momento in cui tutto è bisogno, “ho bisogno di una cosa perché altrimenti non posso comunicare” questo non mi permette di capire i confini giusti. Se anche l’adulto dice “io dipendo da quel bisogno“, non c’è spazio di coltivazione per il desiderio reale.
Se è un bisogno non c’è lo spazio per pensare.

Al cinema il film “Perfetti sconosciuti” analizza il fenomeno dei cellulari, considerati la scatola nera delle nostre vita, portatori di segreti inconfessabili. Come se la nostra libertà fosse legata proprio alla tutela degli smartphone. È davvero così?

Il progresso e la libertà dei diritti a volte sono stati confusi, parallelamente lo strumento diventa sempre più bello e ci fa pensare che abbiamo più possibilità. La libertà è stata confusa con le possibilità, siamo nel momento in cui si pensa che se si hanno molte possibilità si hanno anche molte libertà, ma in realtà non è così.

Fonte: movieplayer
Fonte: movieplayer

Lei è presidente dell’Ordine degli psicologi della Campania, che tipo di attività svolgete? Favorite momenti di incontro e dibattito “reali”?

Nella nostra funzione di tutela e promozione della salute organizziamo una serie di attività prima tra tutte quelle che riguardano l’aggiornamento professionale. In occasione delle due giornate, la Giornata Internazionale della Donna e quella del contrasto alla violenza di genere (8 marzo e 25 novembre) organizziamo degli eventi per far confrontare il mondo della politica, delle istituzioni e delle associazioni attorno a un tema.
Si è appena concluso, pochi giorni fa, quello legato all’8 marzo: nell’ambito del progetto Opportune Differenze, abbiamo parlato dei servizi che fanno comunità, ovvero di quei servizi pubblici e privati capaci di creare partecipazione sociale e benessere per cittadine e cittadini, oltre che garantire la conciliazione dei tempi del lavoro e della vita privata.
Ancora, portiamo avanti il progetto “Benessere psicologico in farmacia” e la “Settimana del benessere psicologico”, giunta alla sua settima edizione.