“Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento”. Una frase che coglie appieno il senso del lavoro di Henri Cartier Bresson. Padre del fotogiornalismo moderno, con l’obiettivo della sua inseparabile Leica puntato su quel “momento”, l’occhio del secolo ha attraversato il Novecento, immortalandone tutti i suoi stravolgimenti, eventi e personaggi chiave ma anche e soprattutto quei piccoli attimi di quotidianità, diventati eterni. Nessun altra arte, se non la fotografia, riesce a fare questo. A catturare con un click l’istante irripetibile di un sorriso, di un’emozione, di un avvenimento storico, della vita. A cristallizzarlo nel tempo. Quando guardiamo una fotografia forse sottovalutiamo tutto questo. Ignoriamo quel “momento decisivo” in cui il fotografo sceglie il suo soggetto, quella frazione di secondo prima del click in cui la mira dell’occhio si allinea a cuore e mente. Del racconto di quei momenti Henri Cartier Bresson ne ha fatto una filosofia di vita, prima che stilistica.

The Var department. Hyères, 1932. Credit Photo: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos
The Var department. Hyères, 1932. Credit Photo: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos

In realtà non fu un colpo di fulmine tra la fotografia e Henri Cartier-Bresson. Da giovane era attratto dalla pittura surrealista. Fu solo guardando uno scatto pubblicato nel 1931 sulla rivista Photographie, del fotogiornalista ungherese Martin Munkácsi, intitolata Tre Ragazzi al Lago Tanganica, che avvenne la conversione dalla pittura alla fotografia. L’immagine mostrava tre ragazzi di colore giocare tra le onde del mare. La spontaneità della composizione e la gioia di vivere che emanava la foto ebbe l’effetto dirompente di un’epifania nel giovane Henri. “Improvvisamente ho capito che la fotografia può fissare l’eternità in un istante. È stato come ricevere un calcio nel sedere: forza vai!”, disse poi Cartier-Bresson a proposito di quello scatto. Comprò così una piccola macchina Leica 35mm con lente 50mm che divenne, come disse più volte, un’estensione del suo stesso occhio. Un occhio sempre pronto a cogliere l’attimo unico e significativo di alcuni dei più grandi eventi del XX secolo Una piccola parentesi nel cinema, come assistente di Jean Renoir, e poi in giro da un continente all’altro per realizzare quei reportage che gli daranno fama mondiale: in Spagna durante la guerra civile, a Parigi all’indomani della liberazione nel 1943, e poi ancora in India con Gandhi a poche ore dal suo assassinio nel 1948, in Cina l’anno dopo quando i comunisti presero il potere.

Gandhi, India 1948. Credit Photo: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos
Gandhi, India, 1948. Credit Photo: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos

In quegli stessi anni Bresson fonda insieme agli amici Robert Capa, David Seymour, William Vandivert e George Rodge la Magnum Photos, un sodalizio artistico che oggi è diventato una delle più importanti agenzie fotografiche al mondo. All’attività di fotoreporter affianca negli anni ’60 quella di ritrattista, immortalando i volti più celebri del secolo: da Martin Luther King a Coco Chanel e Marylin Monroe. All’alba degli anni ‘70 Cartier-Bresson lascia la fotografia per dedicarsi esclusivamente alla pittura e al disegno, il suo primo amore artistico, con l’unica eccezione dei ritratti a cui continuerà a dedicarsi almeno fino agli anni ’80.

Truman Capote, Louisiana, 1946. Credit Photo: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos
Truman Capote, Louisiana, 1946. Credit Photo: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos

“Osservare lì dove gli altri sanno solo vedere”. Come la pittura di Degas la fotografia di Cartier-Bresson osserva la realtà quasi spiandola dal buco della serratura. Con nonchalance e senza essere invadente, restando ai margini, per catturare il flusso della vita che si muove davanti ai suoi occhi. Un po’ come i due ficcanaso ritratti in Bruxelles, Belgique 1932, che cercano di guardare oltre la recinzione. Henri Cartier-Bresson getta il suo sguardo sulle piccole cose. Se ci fermiamo a guardare con attenzione la preziosa eredità iconografica lasciataci, non è difficile non accorgersi di quanto la sua sia stata una poetica dell’esaltazione dell’insignificante. In un’epoca in cui la fotografia non era considerata ancora al pari di una qualsiasi altra forma d’arte come la pittura, Cartier-Bresson scopriva la straordinaria capacità del medium fotografico di osservare la realtà in quelle sfumature e quei dettagli solo apparentemente banali: “Nella fotografia le cose più piccole possono diventare un grande soggetto”.

Bruxelles, Belgique 1932. Credit Photo: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos
Bruxelles, Belgique 1932. Credit Photo: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos

Lontano dai campi da guerra e dagli eventi altisonanti della storia, Cartier-Bresson fissa nei suoi scatti la normalità dell’uomo. Un bacio tra due innamorati al tavolino di un bistrot, il salto di una pozzanghera, un picnic in riva al fiume, gli sguardi gioiosi dei bambini. Non c’è la sfrenata ricerca della perfezione tecnica nei suoi scatti. La sua cifra stilistica è la spontaneità dell’istante. Il cogliere la vita di sorpresa da dietro un mirino, nell’attimo decisivo in cui tutti gli elementi compositivi (persone, luce, dettagli) si trovano in un equilibrio perfetto. Non servono cento scatti, ne basta uno, uno soltanto, quello in grado di cogliere questo momento “magico” in cui la realtà si dispiega davanti ai nostri occhi nella forma ideale per realizzare una grande foto. Una di quelle destinata all’eternità.

Paris, 1958. Credit Photo: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos
Paris, 1958. Credit Photo: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos

[Photo Credit Cover: Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos]