Per alcuni, il vinile è solo il simbolo di un’epoca ormai andata, quasi una reliquia del passato, che prende polvere in cantina o in soffitta, insieme a tante altre cianfrusaglie che non servono più. Dopotutto, nell’era dell’Ipod, di iTunes e Spotify chi è che ancora ascolta la musica con un vecchio giradischi? Eppure, per quanto anacronistico, sia il vinile piace ancora. Del resto ce lo insegna la moda. Mai gettare nulla dall’armadio, perché prima o poi, quel capo destinato alla spazzatura, potrebbe rivivere una nuova primavera. Questa regola basilare per i fashionisti vale anche per l’industria discografica. Nell’era del digitale e della musica liquida, di fronte al declino delle vendite di cd e all’aumento della pirateria, il buon vecchio caro 33 giri, definito obsoleto già negli anni ’80, si sta prendendo la sua rivincita.

Già da qualche anno infatti il mercato dei vinili registra una crescita costante in tutto il mondo. Stando ai dati della FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana), le vendite globali nel 2013 sono aumentate del 26,9%, passando da 172 milioni a 218 milioni di dollari, vale a dire l’1,5% dei ricavi globali. Anche i numeri diffusi da Amazon confermano che dal 2008 il giro d’affari intorno al vinile ha incrementato il proprio volume del 745%. Se il revival del supporto è un fenomeno soprattutto americano e inglese, anche l’Italia sembra aver riscoperto la passione per il vinile: con un fatturato di poco superiore ai 2 milioni di euro annui, è il settimo mercato mondiale e il quarto europeo dietro Germania, Gran Bretagna, Francia e Olanda. Nel 2013 l’aumento delle vendite è stato del 6% rispetto all’anno precedente e già nel 1° trimestre 2014 si è registrato un + 14% rispetto allo stesso periodo del 2013 (Dati Deloitte).

Tanti artisti come i Rolling Stones, i Led Zeppelin, David Bowie, i Pearl Jam, ma anche l’italiano Francesco Guccini, hanno contribuito all’aumento delle vendite ristampando in formato LP i loro più grandi successi. Il resto lo hanno fatto una nicchia sempre più vasta di musicofili, nostalgici collezionisti e appassionati, fiere di settore, negozi specializzati ed eventi di risonanza internazionale come il Record Store Day, dove si respira tutto il fermento di questo rinascimento vinilico, guidato a sorpresa dai “nativi digitali” under 35 (Dati ICM), che per quanto avvezzi al download e ai formati digitali, non disdegnano neppure il microsolco.

Dietro il ritorno di fiamma per un supporto andato da tempo in pensione c’è sicuramente anche una componente estetica, perché il vinile arricchisce l’esperienza di ascolto musicale con il possesso di oggetto che la moda ha rivestito di un’aura cool. Oggetti da esporre come d’opere d’arte grazie anche a copertine, che in alcuni casi hanno fatto la storia più delle stesse canzoni contenute nell’LP: pensiamo alla banana gialla disegnata da Andy Warhol per i Velvet Underground, o alla celebre cover di “Abbey Road” dei Beatles fino a “The Dark side of the moon” dei Pink Floyd. E l’elenco può proseguire all’infinito. Ma chi compra un disco in vinile, non lo fa solo con la consapevolezza che si tratti di un pezzo vintage della storia della musica. Unitamente ai suoi pregi estetici e visivi, il disco nero è in grado di restituire un’esperienza di ascolto diversa che cd e musida digitale hanno perso di vista.
«Qualcuno cercava di dirmi che i CD sono meglio del vinile perchè non hanno alcun rumore di superficie. Io risposi: “Senti, amico, è la vita che ha il rumore di superficie”» – John Peel
Da quando il vinile è stato sostituito dal più pratico e indistruttibile CD prima e, poi, dagli impalpabili Mp3 si è accesa la diatriba tra i puristi del suono analogico e i fan di quello digitale. Abituati a vinili scricchiolanti, il suono privo di fruscii dei CD e degli Mp3 è sembrato perfetto, ma forse per questo anche un po’ troppo freddo e asettico, rispetto a quello del vinile da sempre percepito come caldo, avvolgente, realistico. In verità si tratta di formati diversi, ognuno con i propri pregi e difetti. Eppure il mito della superiorità del formato 33 giri esiste e resiste, anche se le prove a sostegno sono poche. Forse questa superiorità non è nel suono ma altrove. Nel fatto che il long playing è un artefatto “vivo”, tangibile, lo puoi leggere, toccare, annusare, guardare. È un fascino che CD e brani liquidi non potranno mai avere, paragonabile solo a quello del libro cartaceo nei confronti dell’ebook. E poi c’è un fattore che non può spiegarsi né con la tecnologia né con l’estetica, perché ha a che fare con le emozioni che la gente cerca nella musica. La musica digitale è stata una svolta epocale, soprattutto nel modo in cui viene fruita. Abbiamo una scelta infinita da cui attingere e con i supporti tecnologici a disposizione possiamo ascoltarla quando e dove vogliamo. Ma consumiamo la musica anche in modo più affrettato, quasi distratto. Più che ascoltarla, la sentiamo, senza prestarle realmente attenzione. Fermarsi ad ascoltare per intero un vinile invece, senza mai sollevare la puntina fino a quanto non si deve cambiare lato, significa riappropriarsi del proprio tempo e del piacere di dedicarlo a una musica che non sia solo un sottofondo.
[Credit Photo Cover:wallpaperswa.com]