Una vita dedicata alla sua passione più grande: quella per la televisione. Piero Chiambretti si è costruito negli anni una fama da provocatore incallito che lo vede, oggi, l’artista più temuto del palinsesto italiano. Ma il suo personaggio mediatico non è troppo distante da quella che è la sua vita personale. O lo si ama, o lo si odia. E, a onor del vero, restano sempre più le persone che ne subiscono il fascino di questa personalità emblematica. Ecco cosa Piero Chiambretti ha raccontato in un’intervista per Il Giornale Digitale.
Sembra doveroso rivolgere particolare attenzione alla tv. Personalmente non amo guardare la tv. E sembrerebbe che lei abbia scelto di farla proprio per la stessa ragione. Possiamo definirlo un rapporto di amore-odio quello tra lei e il primo elettrodomestico al mondo? L’ha definito così, giusto? (“La televisione non è l’ottava meraviglia al mondo, è il primo elettrodomestico”)
Tutte le grandi passioni sono formate da sentimenti contrapposti.
Quindi ci può stare l’amore, che è quasi infinito, e ci può stare per contrasto una sorta di disappunto – se non proprio di odio – perché io soffro e, nello stesso tempo, mi diverto a scrivere e realizzare progetti televisivi.
Lei è un personaggio sui generis. Il fatto stesso di portare in scena l’arte, la cultura, l’intrattenimento e l’ironia insieme, ne è la prova. I suoi programmi hanno tutta l’aria di essere la riproduzione di una scena teatrale. Il che piace. Gli Italiani sono un popolo medio-alto e non lo sanno? O le ragioni per cui i suoi programmi hanno così seguito sono strettamente riconducibili sul suo personaggio?
È una domanda un po’ complessa. Innanzitutto devo precisare che non tutti i programmi che faccio piacciono. In secondo luogo la mia missione televisiva é il mio desiderio, nonché il mio piacere, visto che questo è il lavoro che mi sono scelto e che nessuno mi ha costretto a realizzare e interpretare. È una missione che da sempre, da ormai 25/26 anni, mi vede impegnato nel fare quello che non c’è o di cercare di fare meglio quello che fanno altri. Questo porta una complessità di problematiche in più rispetto a quelle che già ci sono per chiunque faccia la televisione.
In questo momento poi ancora più di un tempo.
Oggi la televisione non è più al centro dell’interesse generale, lo stesso elettrodomestico non è più in sala che fa bella mostra, ma è nella sala della televisione. Oppure quelli che non hanno la sala della televisione hanno il tinello e se non hanno il tinello il cucininio e se non hanno il cucinino la camera da letto o il bagno. Quindi, il continuo trasferimento di locazione del televisore è equiparato all’interesse che si ha per quello che la scatoletta propina. Allontanando la televisione dalla stanza più importante della casa è diventato ancora più complicato interessare un pubblico non interessato.
Oggi, di fatto, ci si rivolge ad un pubblico sempre più disattento, causa di forza maggiore anche l’avvento prepotente di internet nelle nostre vite. Lei che rapporto ha con il web?
Io ho un ottimo rapporto con il web.
Credo che ci sia però una contraddizione perché la maggior parte delle persone abbandonano la televisione per stare sul web e sui social network. Però poi parlano solo di televisione. Allora io mi chiedo se quelli che scappano, scappano semplicemente perché non ci sia nulla da vedere o perché, invece, vogliono essere loro i protagonisti di quello che c’è. Perciò negli ultimi anni la tendenza è stata quella, appunto, di volgere maggior attenzione ad altri mezzi. E anche la stessa attenzione che si ha per quel poco di televisione che è rimasta, è un’attenzione ridotta. Perché abituati a cambiare continuamente pagina sul web, passando rapidamente da una pagina politica ad una hard, è evidente che anche il tipo di gusto e di atteggiamento che ha il telespettatore è lo stesso che ha quando sta al computer. Peccato che i due mezzi siano molto diversi tra loro. La televisione è molto antica, il web è discretamente moderno. Ma non dimentichiamo che il comunicatore di massa per eccellenza rimane la televisione: quando c’è un grande evento in diretta, in contemporanea in più paesi del mondo, sono milioni i telespettatori che raggiungono quel prodotto, sono talmente tanti che non possiamo considerare la vita della televisione finita.
Quanto si distanzia – volutamente e non – il suo personaggio dalla sua persona?
Io non vedo molte differenze.
Mi vesto in televisione come spesso mi vesto a casa, disegno scenografie come arredo la mia casa, la musica che ascolto è quella che propino nei programmi e le persone che frequento nella mia vita privata spesso sono quelle che metto nei programmi. Quindi direi che il limite sia molto labile.
La diplomazia è il suo punto di forza. A patto che sia sottile (molto) e pungente. Le è mai capitato di ricevere un “no” per questa ragione, invitando personaggi al suo programma? Tra questi escluderei a prescindere i politici di sinistra.
È più facile elencare i sì che i no. I no sono moltissimi.
Diciamo che adesso non esistono più né i politici, né la sinistra, quindi forse sarà più facile.
Lei era, oppure lo è tutt’ora ateo. Fin quando non ha incontrato qualcuno che un po’ ha scombussolato il piano mistico che si era creato. Le va di raccontarci qualcosa di più a riguardo?
Non è che fossi ateo. E neanche che oggi sia stato illuminato sulla strada di Bologna dove, appunto, ho conosciuto questa figura a cui lei si riferisce. Semplicemente ho difficoltà a credere in un aldilà. Però come diceva Pascal – il noto filosofo – tra il credere e il non credere a Dio, io credo ma è una scommessa, non è una religione, non è quindi una fede. Oggi come oggi sono ancora abbastanza distante. Però certi episodi che sono capitati nella vita del sottoscritto, ma più che altro nella vita di altri e che mi sono stati riportati, mi fanno ben sperare che ci sia un aldilà. Anche se chimicamente, fisicamente e anche scientificamente, questo non è provato.
Sono ancora in quella fase della vita in cui c’è uno spirito critico molto forte.
Non voglio dire che il credere nell’aldilà sia una forma di alibi, perché per molti l’avvicinarsi alla morte e quindi credere nell’aldilà è un modo per non aver paura della morte. Allora visto che io non sono giovane, ma spero, mi auguro e mi sento di poter vivere ancora molto forse ho ancora molto tempo davanti a me, intanto per diventare giovane e poi per cominciare a crederci sul serio.
[Fonte Cover: www.marangonispettacolo.it]