Uno spot resta in mente perché è strepitosamente geniale o terribilmente brutto. Quando il cattivo gusto dà l’impronta alla pubblicità, ci si chiede cosa renda l’Art Director che l’ha concepito meritevole di portare questo titolo sul suo biglietto da visita. Purtroppo, però, non sempre il bello viene premiato e capita che il cattivo gusto che contraddistingue prepotentemente alcuni messaggi pubblicitari renda virale i brand che li hanno diffusi. Pubblicità volta a speculare? Sì, e non sempre è la vendita del prodotto lo scopo dell’advertising malsano. Speculazione finalizzata a fare rumore, quindi, a discapito di ciò che conta davvero: la comunicazione.
Lo spettatore cade nella rete: osserva lo spot, si indigna, lo condivide sui social, fa buzz insieme ai suoi amici, colleghi, conoscenti, e contribuisce a far scorrere il contatore delle visite dello spot caricato su YouTube. Lo spettatore da passivo osservatore del messaggio pubblicitario, diventa esso stesso canale di diffusione e propagazione del contenuto che porta. In trappola, quindi. Nessuno escluso.
Casi “illustri” se ne contano in abbondanza. Di seguito una selezione tra gli spot di cattivo gusto più recenti.
PAKKIANO e l’ironia sulla lapidazione
Un brand trevigiano ha avuto la malsana idea di giocare, in maniera acritica e fuori contesto, sulla lapidazione, tristemente nota pratica musulmana. Un gruppo di uomini musulmani è riunito attorno una donna stesa per terra e coperta integralmente dal suo chador. Gli uomini raccolgono le pietre per iniziare a lapidarla. Prima che la barbara pratica inizi, arriva un ragazzo correndo, che blocca l’azione e si avvicina ad uno dei presenti – il capo, probabilmente – sussurandogli qualcosa all’orecchio: “Non potete ucciderla. Quella donna veste Pakkiano”.
Cambia la musica in sottofondo, la donna si alza da terra, si leva lo chador, lascia volare al vento i suoi capelli biondi e mostra il suo look ultramoderno: shorts e t-shirt con su la scritta:“Sono ancora vergine”.
http://youtu.be/hM82ku2DRWc
Di “pacchiano” nello spot c’è davvero molto, non solo il brand. Ha dichiarato il Patron di Pakkiano, Stefano Cigana: “Abbiamo volutamente cercato di creare una scena dalle forti tinte drammatiche, per suscitare pathos in chi guarda questo spot per la prima volta. Vogliamo comunicare un messaggio chiaro: ossia la libertà di potersi vestire come si vuole, liberi da schemi”. Sebbene l’intento dello spot sia quello di schierarsi contro la lapidazione, forse il risultato finale non rende giustizia agli intenti, e lascia a bocca aperta per il cattivo gusto che è l’unico messaggio che lo spettatore ha percepito al termine dei 0.50 secondi della pubblicità.
Malala, un materasso per salvarla
Un precedente parimenti dissacrante si è visto a maggio scorso, quando un’azienda indiana ha speculato su un’immagine-icona: Malala Yousafzai, la 16enne pakistana colpita da un attacco talebano e portata in Gran Bretagna per curarsi, diventata simbolo della lotta per l’educazione femminile.
Malala, nelle sue varie caricature, viene colpita alla testa da un’arma da fuoco, cade a terra sanguinante, ma rimbalza sul materasso e risorge, ricevendo il premio Sakharov. Una sequenza tanto ridicola quanto offensiva. Ogilvy – la sede indiana – ha firmato la campagna commissionata dal brand Kulr-on. Lo spot, non appena apparso in rete, ha destato la reazione di creativi, critici e pubblico di tutto il mondo, sgonfiandosi di pathos e caricandosi di astio: quello degli spettatori indisposti verso uno spot poco dignitoso. Prima di Malala, altri due noti personaggi erano stati oggetto della campagna di materassi Kulr-on: Mahatma Gandhi, buttato fuori da un treno in Sudafrica, e Steve Jobs, cacciato dall’azienda Apple e poi tornato vincitore. Si tratta di pubblicità speculativa – non destinata alla “commercializzazione”, bensì a determinare una reazione nei consumatori – ma Ogilvy ne ha rivendicato i diritti, pertanto ha approvato il suo contenuto.
Renault e lo spot Twingo sessista
Renault ha dimostrato ancora una volta che difficilmente le case riescono a fare pubblicità rivolta alle donne, senza cadere nello stereotipo. Lo spot belga della nuova Twingo – ritirato dopo le polemiche che l’hanno bocciato a gran voti – ritraeva una donna che parcheggia in mezzo a una rotonda. La donna, volendo lasciare il numero in caso di necessità, scesa dall’auto cerca la prima carta disponibile per scrivere: un assorbente. Con il rossetto la donna segna il numero sull’originale “foglio” e lo lascia sul parabrezza. Renault, a questo punto, sfodera l’asso nella manica e offre appositi bigliettini alla donna svampita che si scusa per il parcheggio “all’arrembaggio”, motivando l’infelice manovra con i tacchi alti che non le consentirebbero di camminare, obbligandola a scegliere il primo posto utile.
Una pioggia di stereotipi: la donna svampita; la donna che non sa parcheggiare; la donna che non sa camminare sui tacchi; la donna senza cervello, in ultima analisi. Per uno spot che si rivolgeva alle donne, un messaggio che svilisce le donne pare quantomeno ridicolo. Touché per Twingo: spot ritirato in sole due ore.
Anche Fiat tempo addietro aveva fatto un errore simile, lanciando per l’8 Marzo lo spot dei sensori di parcheggio introdotti nelle sue macchine come un regalo alle donne. Un chiaro riferimento alla supposta scarsa attitudine al parcheggio dell’universo femminile.
[Credits: Ogilvy + Renault]