In questi mesi nelle nostre città stiamo assistendo ad un grande cambiamento in termini di mentalità, si osserva infatti una maggior propensione per la condivisione, probabilmente dettata dagli effetti della crisi economica più che da un grande cambiamento di mentalità. Non dobbiamo dunque stupirci se vediamo sempre più automobili dai colori sgargianti che ci invitano a provarle a soli 20 centesimi al minuto, oppure rastrelliere cariche di bici pronte ad essere noleggiate da parte di chiunque sia abbonato al servizio. Queste strane visioni urbane non sono altro che esempi di car sharing e bike sharing.
Il Car Sharing
Innanzitutto è opportuno praticare una distinzione tra i noleggiatori pubblici e privati: questi ultimi sono arrivati finora a Milano e a Roma e offrono flotte composte da un unico modello ad un costo fisso al minuto e senza canoni legati all’iscrizione (formula se non usi non paghi). I car sharing pubblici invece si distinguono per una tariffazione al chilometro (di base più economica di quella al minuto) ed un canone annuale fisso normalmente pari ad un centinaio di euro.
In pratica per quanto riguarda le automobili i noleggiatori privati si prestano di più ad utilizzi brevi e quotidiani, mentre quelli pubblici (contraddistinti dal logo IoGuido e presenti in varie città tra cui Firenze, Genova, Bologna, Parma e Torino) si prestano per eventi sporadici per i quali potrebbe essere richiesta una giornata intera di noleggio.
Ma l’aspetto sorprendente del fenomeno non sta nelle tariffe o nelle flotte, ma nell’adesione del pubblico che a Milano è stata da subito straordinaria: se Daimler col suo Car2go si aspettava 30 mila abbonati in sei mesi, ne ha ottenuti quasi il doppio solo nei primi due mesi di apertura, addirittura dando fondo alle scorte di tessere cliente che sono dovute arrivare dalla Francia per soddisfare la richiesta. A Roma la situazione è analoga perché in soli tre mesi si è giunti a 35 mila iscritti. A Milano Car2go conta su 600 Smart, a Roma sono solo 300 ma in costante aumento. Visti i risultati si è subito capito che il modello funzionava ed Eni, in collaborazione con Trenitalia, ha allestito una flotta di 400 fiat 500 e a dicembre le ha immesse sulle strade di Milano; presto il servizio arriverà a Roma e Torino. Tre giorni fa è invece arrivato il terzo concorrente (Twist) che si avvale di Volkswagen Up e conta su 300 vetture nel capoluogo lombardo, che diventeranno 500 a fine estate.
Ma come funzionano i car sharing? Il processo è molto semplice: con la registrazione si ottiene una membrecard e le credenziali di accesso alle vetture, rintracciabili su smartphone o direttamente su strada. Se le vetture sono libere si può prenotarle (avendo a disposizione 30 minuti gratuiti) oppure aprirle passando la membercard sul parabrezza o sbloccandole con un sms. Una volta raggiunta la destinazione non bisogna fare altro che trovare parcheggio (anche su strisce blu o gialle) e una volta collocata la macchina chiuderla sempre con la tessera personale. Come si suol dire la semplicità piace sempre.
Il Bike Sharing
Sono invece innumerevoli le città che hanno visto l’inserimento di sistemi che permettono la condivisione di biciclette: questa usanza è sicuramente una valida integrazione ai trasporti pubblici ed in breve tempo ha riscosso successo nei vari comuni: i più propensi al cambiamento quelli di Brescia e Torino che vantano una proporzione invidiabile (1/10) tra cittadini e utilizzatori di biciclette comunali.
Anche qui i sistemi sono semplici, e non si sono ancora sviluppate compagnie private che facciano concorrenza ai comuni. Basta ritirare la tessera oppure un codice utente e recarsi alle rastrelliere disposte nel comune dove si otterrà il proprio mezzo. A Milano per esempio col servizio BikeMi, a fronte di 36 euro annui si usano le bici gratis per mezz’ora e successivamente a 50 cent ogni 30 minuti fino al massimo di due ore. Naturalmente come tutto ciò che è lasciato in mano al pubblico neanche questi servizi sono immuni dai vandalismi: il caso più eclatante quello di Siracusa che ha poi portato allo smantellamento delle strutture e alla chiusura.
Neanche Milano si colloca al di sopra dei vandalismi: per esempio annualmente il 5% delle bici in flotta viene trovato inutilizzabile e quindi demolito: stiamo parlando di 300 bici l’anno per migliaia di euro di danni, anche se i dati italiani sono sotto quelli europei.
Pro e Contro
Le maggiori critiche a questo sistema vanno a colpire le automobili: infatti con uno sguardo superficiale verso questi cambiamenti urbani verrebbe da dire che nelle città le macchine in circolazione aumentano invece di diminuire; e nominalmente questo è vero. Ma se si andasse a fondo nelle dinamiche dello sharing si capirebbe che le persone grazie alle vetture in condivisione sono meglio disposte a muoversi a piedi o coi mezzi pubblici, per poi ricorrere all’auto solo in caso di stanchezza o di ritardo e, per ogni persona che ragiona così, troviamo una macchina in meno per strada. Inoltre la possibilità di avere più fruitori in un lasso di tempo breve è una risorsa e rende molto più facili le procedure di avvicinamento dei neofiti allo sharing.
Guardando le cose in questa maniera si può ora dare credito al dato emanato dai laboratori di varie università, secondo i quali per ogni macchina in condivisione immessa sul territorio, 12 automobili private restano a casa: in pratica quella del car sharing è una macchina che lavora per una dozzina!
Un’altra critica è quella che invece riguarda i costi: infatti se nel traffico scorrevole si arriva a pagare un decimo di quanto si spenderebbe con un taxi, in caso di coda si vedono sempre più spesso utilizzatori che si mangiano le unghie pensando ai soldi nelle loro prepagate che scendono. A parer di molti dunque questo modello di mobilità è da vedere nell’ottica di un sostitutivo al taxi piuttosto che una vettura da usare per ogni spostamento.
Per quanto riguarda il bike sharing si può dire che i disagi per ora segnalati riguardano la distribuzione delle stazioni che non è ancora stata spinta nelle periferie. Per funzionare bene questo sistema deve essere costituito da una rete capillare di stazioni che possono arrivare dove gli autobus non portano.
Tutti i sistemi sono ancora in fase di sviluppo ma è ormai assodato che, se essi vengono guardati con un occhio bilanciato tra oculatezza e spirito di cambiamento, portano solo a benefici per la città e per chi li utilizza. In questo frangente l’Italia e gli italiani stanno dimostrando una grande elasticità e apertura al cambiamento, e si può solo sperare che questo modello di nuovo utilizzo possa sempre più migliorare a vantaggio dei cittadini. E sia chiaro, resta il fatto che una pedalata non ha mai fatto male a nessuno, che sia condivisa o di proprietà!