Si può svendere la propria immagine, credibilità inclusa, per il cachet di uno spot pubblicitario? Eccome. Soprattutto se il brand è forte e l’assegno staccato profumato. Si pensa a un ragionamento puramente economico alla base delle scelte – in taluni casi poco strategiche, in altri persino poco etiche – di professionisti del Cinema, della TV e dell’Alta Cucina prestatisi a marchette televisive screditanti anni di costruzione di un’identità e dignità professionale.
L’ultima svendita d’immagine in ordine di tempo è quella di Carlo Cracco. Il sodalizio con San Carlo per la promozione della patatina “Rustica” ha richiamato sull’attenti i critici gastronomici e gli appassionati del buon gusto della cucina italiana. Perché mai un alimento poco salutare, ad alto contenuto di grassi, preconfezionato, bandito dalla dieta alimentare mediterranea viene promosso dal volto e dalla voce suadente di uno chef pluristellato? “Perché in cucina ci vuole audacia“: recita così lo spot San Carlo ed è probabilmente questa la risposta che Cracco darebbe allo spinoso quesito.
Le gustose ricette suggerite dallo chef sul retro delle buste della rustica, ingrediente-base per sfiziosi e sofisticati abbinamenti – come uova di quaglia con pancetta e senape, alici marinate al pepe rosa e lime – non bastano a dare giustificazione alla promozione di un alimento altamente calorico e privo dell’etichettato “buon gusto” da parte di chi conduce un talent per formare futuri “Master Chef” e che dell’Alta Cucina italiana ha fatto il suo passepartout per trasmissioni TV, libri, e per il “tutto esaurito” nei coperti del suo ristorante.
Simona Ventura e la scivolata sulle scarpe Pittarosso

Cracco non è solo nella lista delle new entry dello “spot che fa flop”. Simona Ventura in queste settimane è in rotazione con il suo spot Pittarosso sulle reti mediaset lasciando dietro di sé una scia di commenti poco lusinghieri da parte di fan delusi, critici televisivi stupefatti, umili spettatori imbarazzati da una marchetta televisiva che non rende giustizia alla conduttrice, l’attrice, e la donna – in primis – che è da sempre stimata da milioni di telespettatori.
Movenze impacciate, presenza inadeguata, concept dello spot con allusioni infelici – e forse inconsapevoli – a problematiche sociali di attualità (il femminicidio), contribuiscono a confezionare un prodotto che ha certamente generato un gran parlare sul brand, che forse brinda al successo, e sulla testimonial, che forse non nutriva queste aspettative. Ma siamo sicuri che il detto “bene o male, basta che se ne parli” valga sempre? Per la credibilità di un professionista e la solidità della sua carriera ritengo di no.
Paolo Sorrentino e la piccola grande bellezza Fiat
Una delle più grandi delusioni l’ha riservata il regista premio Oscar 2014, Paolo Sorrentino, che alla vittoria della tanto attesa statuetta come Miglior Film Straniero ha fatto un giro sulla Fiat 500 e, confezionato in uno smoking da cerimonia hollywoodiana, è sceso con nonchalance dalla macchina di “casa Marchionne” lasciando i fan indispettiti per aver svenduto la sua immagine per uno spot sì a sostegno del Made in Italy, ma demolitivo di un sogno: arte e cultura che non abbiano prezzo. Il prezzo invece la cultura ce l’ha e Paolo Sorrentino si è evidentemente reso testimonial non tanto della “piccola grande bellezza Fiat”, bensì di questa verità. L’ideale si sgonfia, il conto in banca si gonfia.
Antonio Banderas e la vita agreste nella fattoria del Mulino Bianco

Al sex symbol hollywoodiano Antonio Banderas in salopette, scarponi e mani infarinate siamo ormai abituati da mesi. La fattoria del Mulino Bianco ospita da tempo l’affascinante interprete, tra gli altri, de La Maschera di Zorro, Evita, Frida, e il grande Philadelphia. L’età è avanzata, il sex appeal si è ridotto: la vita agreste tra macine e volatili è forse apparsa confortevole e Banderas si è lasciato consolare da un plumcake in attesa di future proposte.
Gualtiero Marchesi e il sodalizio forzato con McDonald’s

Si è gridato quasi allo scandalo per Gualtiero Marchesi che si è ritrovato a prestare la sua immagine per una campagna McDonald’s. Un tradimento all’Alta Cucina da lui creata; un tradimento alle tre stelle Michelin che per primo ha avuto in Italia (poi restituite); un tradimento alle sofisticate creazioni gastronomiche che ha regalato ai menù del nostro Paese, dal raviolo aperto, al risotto con foglia d’oro. Un masochismo sfociato in un atto autolesivo quello dimostrato da Marchesi. Il suicidio professionale risale al 2011 con la promozione dei panini Adagio, Minuetto e McItaly Vivace del brand americano. Sebbene siano passati tre anni, ancora oggi ne ricordiamo la gravità e gli interrogativi sul perché alla base di una scelta puramente economica e scarsamente etica rimangono aperti.
Joe Bastianich e il cibo pronto di casa Buitoni

Tra i mali minori vi sono quelli imputabili a Joe Bastianich, che mangiando la sfoglia Buitoni promuove sì il cibo pronto, ma commette uno scempio minore rispetto agli illustri colleghi. La velocità in cucina è ciò che la campagna mira a comunicare. E la qualità del risultato ottenuto con la sfoglia pronta resiste persino al severo giudizio dell’impietoso giudice di MasterChef. Il messaggio in fondo ha una sua solidità. E’ credibile, contestualizzabile nella giornata tipo del popolo di italiani a cui lo spot si rivolge. Pochi rimproveri per Bastianich, quindi. Magari un invito a cena in nome del valore della genuinità e della degustazione del “fatto in casa”.
Simone Rugiati e la Coca Cola per le cene low budget
Simone Rugiati si è prestato a promuovere un brand troppo forte per essere attaccabile. Forse uno chef lo si vede meglio a bere un calice di buon vino rosso delle cantine italiane, o ancora una birra pregiata dalle proprietà degustabili dai palati più esperti. Ad aprire una bottiglia di Coca Cola per accompagnare una cena low budget bastava un testimonial meno qualificato. Se si vuole insegnare la buona cucina, si dovrebbe educare ad accompagnarla con la bevanda che ne esalti le proprietà. Questo Rugiati lo sa di certo e anche lo spettatore che non “si beve” lo spot.
Quando il denaro finirà di comprare la credibilità di un professionista, avremo spot pubblicitari più autentici, professionisti dedicati a ciò che gli ha regalato questa definizione, e spettatori felici di non essere presi in giro.
[Credits Cover: San Carlo]