Sono 211 milioni i contenuti che ogni minuto vengono creati e condivisi su internet. Di questi, secondo una ricerca del 2014 condotta dalla Domo.Inc società specializzata nella ricerca dei “big data”, 2,4 milioni sono creati su Facebook, 277.000 su Twitter, 1400 sui blog, 216.000 su Instagram e 204 milioni sono le mail inviate. Sommando i contenuti condivisi su gli altri social network e le ricerche su Google arriviamo ai 211 milioni già citati.
I contenuti sono così diventati una parte centrale del modo di fare informazione cambiando l’approccio stesso alla ricerca di informazioni. Se prima era l’utente a cercarle, adesso sono le informazioni a cercare l’utente. E i social network sono l’espressione massima di questo cambiamento: i contenuti che riempiono le nostre home ci vengono proposti in base alle informazioni che forniamo, ai like che mettiamo, alle ricerche che facciamo.
Ma come si interfaccia l’advertising con questo nuovo modo di pensare incentrato sul content? Oggi le società di advertising devono essere in grado di capire le persone e creare contenuti in base alle loro caratteristiche. Per esserci engagement oggi la pubblicità deve attrarre con contenuti ritagliati sulle persone ma distribuiti nei posti giusti.
L’advertising tradizionale non va più bene, il classico spot televisivo funziona sempre meno e internet e i social media prendono il sopravvento. I “Millenials”, i giovani nati tra gli anni ’80 e i primi anni del 2000, sono l’emblema di come la vecchia pubblicità non può più funzionare. Smartphone, Tablet e computer sono gli strumenti con cui i giovani d’oggi si nutrono di contenuti e non vogliono essere interrotti, vogliono continuare a condividere foto, a sentire musica, a vedere film, a chattare con il minor fastidio possibile. È questa la sfida maggiore delle società di advertising: riuscire a distribuire video advertising creando contenuti che siano il meno invasivi possibili.
Oggi una pubblicità si “skippa”, si blocca, si evita il più possibile a meno che pubblicità e brand, non siano in grado di creare contenuti che attirino invece di allontanare. Ne abbiamo parlato con Andrea Febbraio, co-founder di Teads (ex Ebuzzing), fondatore di Promo Digital, oggi advisor in Beintoo, e partner di Ariadne Capital, autore di due libri “Viral Video: Content is King, Distribution is Queen” e “Buzz Marketing nei Social Media”. Andrea è un guru nel mondo dei media, del video advertising e del digital trend tanto da essere docente per le più importanti business school come Bocconi, Luiss e Sole 24 Ore. A lui abbiamo chiesto anche qual è lo scenario italiano del video advertising e che possibilità di lavoro ci sono in questo settore.

Ciao Andrea curiosando sul tuo sito internet e Wikipedia c’è scritto che sei un imprenditore, uno scrittore, un professore, un venture capitalist. Ma chi è in realtà Andrea Febbraio e cosa preferisce tra tutte queste attività?
Difficile da dire ! Credo di essere una persona molto curiosa ed affascinata da tutto quanto la tecnologia possa fare. Ma ho dimostrato a me stesso di essere “bravino” con il mondo di internet quindi perchè magari non mettersi alla prova con qualcosa di diverso? Credo aggiungerò qualche altro lavoro presto magari in campi completamente diversi (sorride).
Ho avuto modo di assistere ad una tua lezione. Ti presenti sempre con una felpa arancione e un cappellino verde? C’è solo del Peacocking o Andrea Febbraio ha un animo rock?
Ho testato sul campo che l’abito fa il monaco ed in un mondo di persone in giacca e cravatta blu essere e presentarsi in maniera differente aiuta molto. Detto questo sono 15 anni che non indosso una cravatta che per fortuna nel Mondo digital non è in nessun modo importante per essere presi sul seri quindi direi: rock!! Anche nella vita privata.
Sei co-founder di Teads (ex Ebuzzing): avete reinventato il video advertising, prima con il formato native e adesso con la tecnologia inRead e il formato outstream. Tu hai un motto: “Content is King, distribution is Queen” riportato anche su uno dei tuoi libri. Ma quanto vale oggi il contenuto e quanto invece la distribuzione?
Beh aggiungerei un altro pezzo alla storia dicendo che “Money Follows Eyeballs” e che quindi l’obiettivo è attrarre quante più persone possibili a vedere un contenuto. Il fatto è che se anche questo in partenza sia di altissima qualità, senza un vero e proprio aiutino in termini di visibilità è difficile che venga notato in un mondo iperaffollato di stimoli. Quindi direi che la Regina gioca ancora un ruolo fondamentale.

I social hanno ormai una ampia fetta di share nel mondo dell’advertising e del video advertising soprattutto. Si sta però assistendo ad un momento in cui il target dei Millenials inizia a preferire un uso dei social sempre più “usa e getta”, e sembrano aver trovato in Snapchat la giusta piattaforma. Come si muovono le società di advertising verso queste piattaforme come Snapchat o Vine dove la durata dei video è inferiore ai 10 secondi?
C’è sicuramente molto interesse soprattutto lì dove questi fenomeni sono nati quindi in USA ma presto tutto ciò arriverà anche in Italia e come al solito i pionieri e coloro che per primi avranno intrapreso queste strade se ne avvantaggeranno.

Come giudichi lo scenario italiano del video advertising? Facendo una classifica ipotetica dell’apertura all’innovazione, le imprese italiane come si classificano?
Molto avanti! Stranamente in questo siamo uno dei mercati più innovativi d’Europa forse anche perchè la TV ha abituato i brand a raccontare una storia per immagini.
C’è lavoro per i giovani in questo settore? Quali sono gli ingredienti giusti per trovare lavoro in questo campo? Teads, nello specifico, che politiche di recruiting adotta?
C’è tantissimo lavoro nel settore digital è in assoluto il settore a più alta crescita, ma bisogna riformare il nostro sistema universitario. In Teads ad esempio l’ultima cosa che guardiamo è il titolo di laurea. In tutte le società che ho creato mi interessa reclutare talenti non diplomi.