Non è un caso che le alluvioni si concentrino sempre negli stessi periodi: si chiama natura. Non è un caso neanche che interessino sempre nelle stesse zone: si chiamano bacini idrografici. Infine, non è un caso che ogni volta l’Italia si ritrovi in apprensione davanti alla televisione, sperando che “i dispersi” vengano ritrovati: si chiama scelleratezza nel costruire.

L’emergenza nelle Marche

L’ennesima tragedia ambientale ha colpito stavolta le Marche. In poche ore, Senigallia è stata inondata da 170 millimetri di pioggia: una bomba d’acqua che ha fatto esondare i fiumi ed ha allagato strade, case, scantinati, garage e quant’altro. Frane e smottamenti hanno dato da fare agli operatori della Protezione Civile, mentre la macchina organizzativa si è attivata per ospitare chi abitava in centro storico e non riesce più a raggiungere la propria casa.

Diversi alberghi, tre scuole ed il seminario vescovile hanno aperto le loro porte, fornendo un tetto a chi non può tornare sotto il proprio; trecento brandine e settecento coperte, le stesse appena riposte dopo l’emergenza in Emilia Romagna, hanno scaldato i tre centri di accoglienza allestiti presso le aule. In tutto questo, due famiglie piangono le vittime dell’alluvione: Aldo Ciccetti, 80enne trascinato via dall’acqua, e Nicola Rossi, 86enne di Pongelli, morto per un malore dentro l’ambulanza che, bloccata dalla piena, non è riuscita a raggiungere l’ospedale.

Pierpaolo Calavita, ANSA
Pierpaolo Calavita, ANSA

Da ieri è tornata l’elettricità e la linea telefonica, attenuando almeno un po’ lo scenario post-bellico, ma i Vigili del Fuoco ancora sono impegnati con le operazioni di prosciugamento: ci sono seminterrati in cui l’acqua ed il fango hanno raggiunto i due metri. Nel frattempo ora è un fiume di solidarietà mista a sconcerto quello che si sta riversando su Senigallia e su tutta la zona colpita.

Da Laura Boldrini ad Angelino Alfano, più ovviamente il presidente del Consiglio Matteo Renzi, tutti hanno speso una parola sull’alluvione: «un metodo di lavoro già sperimentato con Protezione civile e Palazzo Chigi, che prevede prima una quantificazione dei danni, poi la determinazione di un impegno economico», è quanto garantisce il premier. Dopotutto, non c’era molto altro che potesse dire: di sicuro ormai è troppo tardi per agire d’anticipo sul rischio idrogeologico.

L’Italia continua a sbriciolarsi

Il principio in realtà è molto semplice. Un geologo saprebbe esporlo meglio, ma è alla portata di tutti: qualunque fiume che attraversa una valle raccoglie quasi ogni goccia di pioggia che cade durante una “bomba d’acqua” del genere appena visto nelle Marche; quella che non raccoglie viene assorbita dal terreno circostante. Dove però attorno non v’è terreno, ma unicamente suolo ricoperto dall’asfalto e dal cemento di piani urbani risalenti a tempi in cui certe “quisquilie” non preoccupavano, l’acqua non viene assorbita e si riversa nel corso d’acqua di turno. E se, come spesso e volentieri succede, gli argini del suddetto corso d’acqua non godono della manutenzione che meritano, diventa difficile scandalizzarsi davanti ai disastri che ne conseguono.

Pierpaolo Calavita, ANSA
Pierpaolo Calavita, ANSA

D’altra parte, infatti, ormai nessuno si scandalizza più; neanche quando, lo scorso gennaio, i tecnici Aipo (Agenzia interregionale per il Po) giustificarono l’esondazione del Secchia, in Emilia Romagna, dicendo che la colpa era stata di “tassi, volpi e nutrie” che, con le loro tane, avrebbero indebolito gli argini altrimenti perfettamente efficienti. Dopotutto, per quanto l’ipotesi possa avere un minimo di fondamento, resta difficile convincersi di come semplici tane abbiano potuto minare un sistema di messa in sicurezza che come minimo avrebbe dovuto prevedere ipotesi del genere.

In ogni caso, a Senigallia pare non vi sia stata traccia dei simpatici animaletti. Ciò, come spiegano dal Codacons, vuol dire solo una cosa: quanto accaduto «non è colpa del maltempo ma solo ed esclusivamente dell’uomo. Senza interventi di messa in sicurezza delle aree a rischio – spiega il Presidente Carlo Rienzi – ogni qualvolta vi saranno piogge più intense del normale, si registreranno danni analoghi a quelli delle ultime ore. Basti pensare alle alluvioni recenti in Sicilia, Sardegna ed Emilia Romagna, che hanno messo in ginocchio intere regioni senza che ciò abbia portato le istituzioni ad adottare misure per evitare il ripetersi di disastri ambientali».

I numeri che fanno paura

L’ultima parola, comunque, spetta agli esperti. Certo è che, a voler intervenire come si deve, andrebbe totalmente smantellata e rifatta da capo una grossa fetta di Italia: secondo un’inchiesta multimediale sul dissesto idrogeologico ad opera di Ance, architetti, geologi e Legambiente, realizzata da un gruppo di giornalisti indipendenti di Next New Media, l’82% dei comuni italiani è esposto a rischio idrogeologico ed oltre 5 milioni e 700 mila cittadini vivono in un’area di potenziale pericolo. Le zone più a rischio sono il nord est, seguito da sud, nord ovest, centro e isole: poche vie di scampo, insomma.

Dunque l’unica soluzione è fare fagotto ed abbandonare la propria casa, la propria zona, la propria città? L’Italia è un Paese infelice anche dal punto di vista geologico: dove si è al riparo dalle alluvioni, magari arriva un terremoto. L’unico rimedio per sperare di vivere tranquilli allora sarebbe cominciare a costruire con raziocinio, seguendo ogni normativa di sicurezza. Difficile a farsi, ma l’investimento è a lungo termine: è sicuramente preferibile all’andare a dormire di notte con la preoccupazione, ogni volta in cui la pioggia cade più pesantemente del normale, di venir spazzati via da un’alluvione – oltre a mettere al sicuro non tanto la propria casa, quanto la vita.

Pierpaolo Calavita, ANSA
Pierpaolo Calavita, ANSA

In alternativa, rimediare una volta che il danno è fatto è sempre possibile. Però costa, e costa tanto: negli ultimi vent’anni se ne sono andati circa 242,5 miliardi di euro in ricostruzione dopo frane, terremoti ed alluvioni. Ma è più di mero calcolo finanziario: solo per il dissesto idrogeologico, negli ultimi 12 anni hanno perso la vita 328 persone.