Prendo spunto dall’articolo di Massimo Russo su Wired che riporta del recente coming out di Tim Cook, AD di Apple. Mi ha colpito positivamente la frase con cui si è esposto (o imposto): “l’innovazione passa attraverso la diversità” e penso a quanti dovrebbero riflettere su questa frase.

Tutte le aziende che pensano che “diversificare” significhi semplicemente cambiare core business e quelle che pensano che le politiche di diversity passino dalla creazione di asili aziendali e parcheggi rosa per le signore impiegate.

Tutte le aziende che non sanno ancora rispondere alla domanda su cosa sia la diversità. Il 47% non sa cosa rispondere e il 30% afferma di non avere pratiche aziendali che vadano in questa direzione. Lo studio, condotto dall’Osservatorio sul Diversity Management della Bocconi, rivela anche grosse discriminanze nei confronti di persone più avanti negli anni, persone straniere e addirittura persone dello stesso sesso, fra donne con e donne senza figli.

Tutte le aziende che non fanno formazione e non permettono ai propri dipendenti di crescere o confrontarsi con altre aziende per paura che i propri dipendenti possano vedere realtà più interessanti. Senza sapere che se quelli decidono di lasciare l’azienda, il motivo più ricorrente è “perchè non c’è possibilità di crescere”. Si cercano altri lidi: dove si impara, dove ci si confronta, dove si cambia.

Tutti i politici che hanno fatto della cultura della paura (del diverso) la leva per le proprie campagne politiche. Salvo poi scoprire, attraverso un articolo ben fatto di Mario Munafò, blogger de l’Espresso, che la percezione che noi abbiamo del diverso (religioni, razze, immigrati, culture) è estremamente sovra stimata rispetto all’effettiva realtà.

Penso alle parole di Guido Barilla di un anno fa riguardo a “un certo tipo di famiglie” e al sapiente e duro lavoro che hanno dovuto fare in azienda per rimettere a posto i cocci. Oggi sul sito di Barilla c’è una pagina dedicata al valore della diversità, unitamente all’adesione a Parks, l’Organizzazione di Ivan Scalfarotto che ha come compito quello di coinvolgere le aziende (Ikea, IBM, Johnson&Johnson e tanti altri..) in un impegno reale che tende a includere nei propri organigrammi aziendali quote percentuali di gay, lesbiche e transgender al fine di “contribuire al miglioramento della produttività nei luoghi di lavoro e, in ultima analisi, dell’economia italiana nella sua interezza”.

Penso a quelli come Matteo Salvini, che dovrebbe avere lo stesso obiettivo di cui sopra, almeno nell’ultima parte della frase.

Ricordo la pubblicità di Ikea che ha fatto scalpore in Italia sollevando le proteste dei cattolici e di Giovanardi (o dei cattolici come Giovanardi…) e penso a quanto sia vero che l’innovazione passa attraverso le diversità. Mentre l’acqua continua a stagnare intorno a chi non ha più nulla da dire, da fare, da proporre.