I risultati degli attesissimi ballottaggi delle Amministrative 2016, delineano uno scenario politico non privo di sorprese. Se da una parte è innegabile il grande exploit del M5S, dall’altro i democratici, seppur non con poche difficoltà, riescono a tenere Milano e Bologna, mentre un centrodestra in calo si dimostra pericoloso solo quando resta compatto e si affida alla sua faccia più moderata (il caso Parisi è eclatante). Mentre nei commenti a caldo balenano ipotesi, seppur molto remote, di crisi di Governo, e i pentastellati provano a fare valere una rinnovata forza numerica, diventa inevitabile nel Pd una resa dei conti interna, ed una riflessione attenta del perchè si sia arrivati a perdere a Roma (dov’era comunque messo in conto), e soprattutto Torino, dove Fassino arrivava con l’11% di vantaggio dopo il primo turno contro la Appendino.
Resta poi da vedere quanto realisticamente i numeri usciti dalle urne Domenica possono definire in prospettiva la situazione nazionale ed essere attendibili per le prossime Politiche, e come ne escono il Pd e Renzi.

Il “Caso Marino” e una sconfitta (quasi) inevitabile
La situazione a Roma per il Pd era disperata o quasi; il “Caso Marino” resta un problema aperto da mesi, e la rottura con l’ormai ex democratico mai colmata. Il fattaccio di “Mafia Capitale”, capitato in un momento di fortissima crisi politica nella Capitale non ha di certo giovato. La fortissima spinta di antipolitica che ne è scaturita ha di fatto spianato la strada a Virginia Raggi; il suo volto giovane e telegenico, l’essere totalmente distaccata dalla politica tradizionale, e il presentarsi come punto di discontinuità assoluto con le precedenti amministrazioni, hanno fatto il resto. La vittoria per la candidata grillina, forse non è mai stata davvero in discussione, e il buon Giachetti, pur dimostrando di essere probabilmente il miglior candidato che il Pd potesse presentare, ha potuto solo limitare i danni; il distacco che ne esce dai ballottaggi avrebbe del clamoroso, se dietro quei numeri non ci fosse un endorsement trasversale anti Pd nemmeno tanto nascosto.

Sala e Merola reggono, il centrodestra non passa
Il Pd si salva in corner con la preziosissima vittoria a Milano; in una città ben amministrata dall’uscente Pisapia, la coalizione di centrosinistra che ha appoggiato Beppe Sala riesce a resistere contro l’onda d’urto del moderato Parisi. Due candidati spesso definiti “simili” quelli giunti al ballottaggio nella città meneghina, con uno scontro bipolare dal quale almeno per il momento è restato fuori il M5S. Discorso speculare a Bologna, dove però Merola ha la meglio su una candidata molto meno “centrista”, la leghista Lucia Borgonzoni. La roccaforte rossa resta democratica, ma anche là non è poco lo scontento per una vittoria non netta e sfuggita al primo turno.

La grave sconfitta a Torino
Probabilmente la sconfitta che più brucia per il Pd è quella di Torino; se Roma per molti era persa da tempo, la situazione sotto la Mole era ben diversa. L’amministrazione Fassino aveva ben fatto, e il malcontento in città era certamente molto diverso da quello della Capitale; quello di Torino è infatti molto probabilmente il campanello d’allarme più importante per la maggioranza, con una candidata grillina, la Appendino, che senza grandissimo clamore è riuscita prima ad affermarsi come seconda candidata più votata al primo turno, e poi a intercettare i voti del centrodestra, rivelatasi essenziali per la vittoria finale. Se ad oggi si andasse a votare alle Politiche e al ballottaggio andassero Pd e M5S, il rischio sarebbe senz’altro questo.

Come esce Renzi da questi ballottaggi
Ma alla fine dei conti Renzi e il suo esecutivo ne escono davvero così tanto malconci da questi ballottaggi? La risposta è molto meno banale di quanto si possa credere, soprattutto nel momento in cui l’ex Sindaco di Firenze è rimasto a detta di molti abbastanza distaccato. Le Amministrative, seppur in città così importanti, non possono essere un parametro verosimile per le futuri Elezioni Politiche.
Il dato forse inequivocabile che se ne ricava è quello che ancora una volta Renzi e il Pd appaiono come due entità ben distinte e separate; laddove il Premier decide infatti di mettersi in gioco in prima persona (come accaduto alle Europee e come accadrà per il prossimo referendum ad Ottobre), riesce a canalizzare un elettorato al di là delle ideologie politiche tradizionali, ponendosi come leader ideale di quel “Partito della Nazione” che tanto piace a un modello di elettorato moderato, e che intercetta il malcontento di parte del centrodestra. Quando invece il Pd deve rivolgersi alle sue forze locali, là restano una serie di lacune mai colmate, e dalle quali Renzi e il renzismo sembrano essere rimaste chiuse fuori. Il Presidente del Consiglio e Segretario del Partito, non è riuscito in quella famosa rottamazione col quale si era presentato all’elettorato democratico qualche anno fa, e una parte del Pd resta orgogliosamente ancorato ad un sistema che non funziona più.