«I raffronti europei sul fronte dei cosiddetti “ricavi da stadio” (vendita dei biglietti, abbonamenti e altre attività commerciali relative alle partite giocate in casa) segnalano una distanza notevole tra i club italiani e quelli spagnoli, inglesi e tedeschi» (Rapporto Censis)
Ciò che in questi anni ha scavato il solco tra il calcio italiano e quello degli altri è ormai così evidente da finire nel rapporto annuale del Censis, quello che negli ultimi anni, ma in particolare nel 2014, dice che famiglie e imprese hanno paura del futuro e che i giovani sono abbandonati e sfiduciati. Dice pure che l’Italia del calcio è indietro, portando conferme tristi di un pallone che non ha visto il futuro mentre le altre erano in corsia di sorpasso e che soprattutto fatica a vederlo anche adesso. Ci prova, a volte. Ma parte così indietro che non è detto che correre a velocità doppia possa servire. Nella relazione del Censis, nel capitolo “Territorio e reti”, nella pagina (grafico compreso) dedicata alla questione il calcio sembra – da quel punto di osservazione – aver almeno voglia di provarci. «Dopo l’esperienza apripista dello Juventus Stadium, in cui si è riusciti a importare il modello degli stadi inglesi (proprietà dei club, tribune vicine al campo di gioco, elevato livello di comfort e corredo di attività commerciali e di intrattenimento), si parla molto della realizzazione di nuovi stadi per il calcio anche in altre città italiane. La convinzione dei club sembra essere quella che solo stadi di proprietà, più piccoli e confortevoli, gestiti come grandi attrattori del tempo libero, possano garantire quei consistenti ricavi aggiuntivi necessari per il rilancio del settore».
Non saper produrre soldi
Il punto è proprio questo: il calcio italiano non ha soldi e nemmeno riesce a farne. Il declino è nei numeri: nella classifica dei fatturati, nota come Deloitte Football Money League, la prima italiana si vede dopo otto squadre di altri campionati. La Juve è infatti nona con 272,4 milioni di fatturato nella scorsa stagione. Prima ci sono Real Madrid (518,9), Barcellona (482,6), Bayern Monaco (431,2), Manchester United (423,8), PSG (398,8); Manchester City (316,2), Chelsea (303,4) e Arsenal (284,3). Le altre italiane nella top trenta sono Milan (decimo, 263,5), Inter (quindicesima, 168,8), Roma (diciannovesima, 124,4), Napoli (ventiduesima, 116,4) e Lazio (ventottesima, 106,2). Juve e Milan insieme superano di poco il Real, ma ciò che impressiona è la fotografia del declino che si può scattare seguendo la successione degli anni: nel 2006 (quindi con i dati della stagione 2004/05), il Real Madrid era sempre primo, ma il Milan era terzo e la Juve quarta, nemmeno troppo lontane, e con Inter e Roma c’erano quattro italiane nelle prime undici. Il salto all’indietro in otto anni è notevole, anche perché mentre la Juve è passata da 229 milioni nel 2005 a a 272 milioni nel 2013 (più 18,8 %) e il Milan da 234 a 263 (più 12,4 %), il Real Madrid ha preso il volo (da 275 a 518, più 88 %).
Desta sgomento il raffronto di cosa è accaduto dal 2005 al 2013: sedici squadre, delle prime venti, sono rimaste nella “classifica” di Deloitte e se si fa eccezione per il Newcastle, quelle che sono cresciute meno sono le italiane, e nel caso di Roma e Inter addirittura perdendo qualche milione di fatturato.
(squadra, fatturato 2004/05, fatturato 2012/13, variazione percentuale)
1. Manchester City (90,1; 316,2; 250,94%);
2. Barcellona (207,9; 482,6; 132,13%);
3. Bayern Monaco (189,5, 431,2, 127,55%);
4. Schalke 04 (97,4; 198,2; 103,49);
5. Real Madrid (275,7; 518,9; 88,21%);
6. Manchester United (246,4; 423,8; 72%);
7. Arsenal (171,3; 284,3; 65,97%);
8. Tottenham (104,5; 172; 64,59%);
9. Chelsea (220,8; 303,4; 37,41%);
10. Liverpool (181,2; 240,6; 32,78%);
11. Lazio (83,1; 106,2; 27,80%);
12. Juventus (229,4; 272,4; 18,74%);
13. Milan (234; 263,5; 12,61%);
14. Inter (177,2; 168,8; -4,74%);
15. Roma (131,8; 124,4; -5,61%);
16. Newcastle (128,9; 111,9;-13,19%)
I fatturati sono in milioni di euro
Serve una rivoluzione che deve partire dalla Lega Calcio, oggi gestita da un’oligarchia che pensa all’interesse di pochi a discapito dell’intero movimento.
La fotografia del Censis è impietosa: «Non si può negare che la situazione dei nostri stadi sia piuttosto arretrata: sono generalmente vecchi e, sebbene su di essi si sia intervenuti all’epoca dei mondiali di Italia ’90, sono rimasti sostanzialmente scomodi e poveri di funzioni complementari. Inoltre sono ancora in larga misura di proprietà delle amministrazioni comunali».
Capire che il pubblico televisivo resta, ma quello da stadio è da aumentare. Lo fanno quelli che stanno meglio: riempiono gli stadi e fanno soldi. E crescono. Ma il calcio italiano continua a fabbricare solo parole. E piangere come fanno i coccodrilli. Poi arriva il Censis e picchia. Ma è solo la fotografia della nostra incapacità.