Se le società italiane sono costrette a cedere in fretta e furia ogni anno il capocannoniere della Serie A, un motivo, evidentemente, ci sarà. E’ toccato a Ibrahimovic e Cavani, venduti, rispettivamente da Milan e Napoli, ai francesi del Paris Saint Germain per fare quadrare i bilanci sempre più in affanno. Quest’anno, poi, è stato Ciro Immobile a dover abbandonare il “Bel paese” per trasferirsi in Germania, precisamente al Borussia Dortmund, squadra che non conosce il significato delle parole crisi e austerity. Juventus e Torino si sono divise 20 milioni di euro con tanti saluti al bomber di Torre Annunziata che sarà protagonista anche ai Mondiali in Brasile.
Da tutto questo si denota come il nostro calcio sia ormai povero, malato, pieno di problemi irrisolvibili all’apparenza, ma che, con un pizzico di buona volontà da parte di tutti, potrebbe ritornare ai fasti di un tempo. Se solo fino a quattro anni fa, l’Inter alzava la Champions League nella notte di Madrid, è impossibile che il calcio tricolore sia caduto così in basso, senza una reale via d’uscita, anche se le scellerate gestioni di qualche tempo fa stanno iniziano a fare effetto in maniera negativa. Stadi vuoti, polemiche arbitrali, società che falliscono ripetutamente, sono solo la punta di un iceberg che, pian piano sta investendo il nostro mondo pallonaro, in preda a un peggioramento lento ma, allo stesso tempo, repentino.
Gli ingaggi dei calciatori, non più faraonici come quelli che si registrano in Spagna, Francia, Germania e Inghilterra, tuttavia, risucchiano ancora il 62% dei ricavi dei vari club calcistici che, con il tempo, non riescono più a pareggiare il prodotto ottenuto da guadagni e perdite. Così, la nuova era straniera del calcio italiano, specialmente della Serie A, è iniziata a Roma, sponda giallorossa, quando nell’aprile 2011 quattro imprenditori americani, Tom Di Benedetto, James Pallotta, Michael Ruane e Richard D’Amore, decisero di acquistare la gloriosa società giallorossa che non navigava in acque tranquille dal punto di vista finanziario. Una sorta di sblocco per il pallone verde-bianco e rosso che ebbe come continuazione l’ingresso di altri magnati stranieri, tra cui Erick Thohir, indonesiano che lo scorso novembre rilevò le quote di maggioranza dell’Inter in mano a Massimo Moratti. Un investimento corposo che, ancora una volta, evitò un crack economico alla società nerazzurra.
Sulla scia di Pallotta e Thohir, anche il Cagliari, proprio pochi giorni fa, per circa 80 milioni di euro, sarebbe passato in mano statunitense. Il condizionale, però, come spesso avviene in questi casi, è obbligatorio, vuoi per la riservatezza dell’operazione, ma anche per l’annosa questione “S.Elia”, lo stadio della squadra isolana, al centro di un tira e molla infinito. Un fenomeno quello estero, comunque, che ha investito il calcio italiano, sempre più ostaggio di debiti anche corposi, che non fanno altro che aggravare la crisi economica che, imperterrita, prosegue. Quello che fino a dieci anni fa sembrava apocalittico, si sta materializzando anche nella nostra nazione, con molti investitori stranieri che decidono di capitalizzare soldi freschi verso alcune società, per guadagnare e far fruttare ancora di più il loro denaro, anche a costo di svendere la passione dei tifosi. Povera Italia…
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