Arrigo Sacchi, una vita di successi e trofei. Un allenatore, imitato, copiato, emulato, in certi casi violentato, calcisticamente parlando da avanguardie semplicistiche che ne hanno colto la teoria ma non il sistema valoriale. Arrigo Sacchi, quasi 70 anni e non sentirli. La sua storia scritta in un libro, presentato una settimana fa, nel giorno del compleanno. Una biografia intensa e vissuta, con aneddoti speciali. “Calcio totale” il cui titolo s’ispira all’idea che egli aveva, e probabilmente ha, del calcio. Il suo rivoluzionario 4-4-2 si ispirava proprio al calcio totale proposto dalla Nazionale olandese di Johan Cruijff. Un calcio totale in cui si prediligeva una difesa in linea, in modo da far cadere gli avversari nella trappola del fuorigioco e un pressing a tutto campo con o senza palla. Un calcio il cui simbolo è Baresi, con la maglia fuori dai pantaloncini e con il braccio alzato a chiamare il fuorigioco. Convinzione negli schemi e leadership, tracotanza e sicurezza.

Franco-Baresi

Lo scudetto all’esordio in serie A con il grande Milan; la vittoria a Napoli, la partita perfetta contro il Real Madrid trafitto cinque volte; Barcellona invasa da ottantamila milanisti per il più grande esodo calcistico della storia; la finale vinta con lo Steaua, per la sua prima Coppa dei Campioni; l’epopea del mondiale americano del ’94, con la finale raggiunta grazie al gioco e alla forza della disperazione, trascinando al tifo un’intera nazione: questi sono alcuni gloriosi momenti della vita di Arrigo Sacchi, il «profeta di Fusignano».

Ma la storia di Arrigo, raccontata in maniera delizioso nel libro “Calcio Totale”, è molto di più. È nel primo incontro con Berlusconi, che gli mise a disposizione un budget miliardario. Lui disse che non ce n’era bisogno e chiese “giocatori funzionali al progetto“. Quella volta in cui gli chiese Ancelotti e Berlusconi non voleva accontentarlo perché aveva un ginocchio malandato “Mi preoccuperebbe se avesse la testa malandata“. La telefonata di Romiti a Berlusconi, l’intimidazione di non interessarsi ai giocatori in orbita Juventus “Presidente, se vogliamo essere i migliori, nessuno deve permettersi di dirci cosa dobbiamo fare“. Ci sono dei punti di svolta interessanti nella vita e nella carriera di Arrigo Sacchi. Lui, così diverso da Josè Mourinho, eppure così vicino a lui “Non sapevo che per fare il fantino bisognava essere stato un cavallo” ricorda molto “Il mio dentista è bravissimo, eppure non ha mai avuto il mal di denti“. Lui che dopo una sconfitta in casa contro l’Espanyol e l’eliminazione in Coppa Uefa si ritrovò sulla graticola, ad un passo dall’esonero.

Inter Milan's Portuguese  coach Jose Mou

Ma il calcio, come la vita, è il frutto di un insieme di fattori: Arrigo Sacchi ha trovato Berlusconi nel momento migliore, e viceversa. Entrambi volevano cambiare le cose nel calcio, entrambi avevano un credo ben definito, la convinzione che per ottenere dei risultati bisognasse passare anche dai fallimenti, dalle difficoltà, dai baci della dea fortuna. Il culo di Sacchi ha fatto parte del progetto, ma mai slegato dagli schemi, dalla previsione di ciò che poteva accadere, dalla straordinaria volontà di giocarsi le proprie carte fino in fondo. Succede a Belgrado, agli ottavi di finale della prima Coppa dei Campioni vinta dal suo Milan. La Stella Rossa dei futuri fenomeni gioca meglio, sta vincendo 1 a 0 ma su Belgrado scende una nebbia fittissima. Si rigioca. E il Milan domina, segna un gol che l’arbitro non vede. Arriva ai rigori e vince. L’epopea inizia da qui e diventa epica in semifinale, contro il Real Madrid. Altra analogia con Mourinho: in semifinale la sua Inter affronta il Barcellona che ha l’ossessione di andare a Madrid. Il Milan di Sacchi, venti anni prima, si ritrova davanti il Real che, viceversa, non aspetta altro che andaere a giocare la finale al Nou Camp. Ma quella semifinale, la partita perfetta del Milan di Sacchi, non è in discussione nemmeno per un minuto.

Già all’andata, al Bernabeu, il Milan domina ma va sotto. Pareggia con un gol leggendario di Marco Van Basten, che con Arrigo avrà un rapporto travagliato, ma a cui Sacchi deve tantissimo. Il giorno dopo il Corriere dello Sport intitola “FantaMilan“, ma non è ancora nulla. È al ritorno che si compie il progetto sacchiano. Il Real non vede mai il pallone, segnano i campioni, segnano i gregari, sempre se Ancelotti, in quel Milan, può definirsi tale. Una partita ripetuta in finale, al Camp Nou, contro una squadra che aveva impressionato ma che non si presenta, praticamente, sul terreno di gioco. La Steaua annichilita dal gioco e dall’allegria rossonera, dagli 80.000 contro zero (il regime è caduto, ma c’è ancora la Cortina di Ferro), dal comunismo sconfitto dalla libertà (cit. Silvio Berlusconi, che ancora non immagina di entrare in politica). Calcio Totale è tutto questo, è un libro che ci porta a Vienna, per la seconda finale del Milan di Sacchi, due volte a Tokio tra sirene assordanti e sfide contro allenatori che imitavano Sacchi dall’altra parte del mondo.

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Ma soprattutto ci porta in America dove il destino dell’allenatore di Fusignano non si compie. Una storia che inizia nel 1991 quando Antonio Matarrese esonera Vicini e chiede a Berlusconi di liberare il suo fantino. Berlusconi vacilla ma alla fine intuisce che se vuole diventare quello che poi diventerà è fondamentale che il suo allenatore diventi l’allenatore di tutti. E che la mentalità del Milan diventi quella della nazionale. Sarà più semplice, in questo modo, convincere gli italiani a dire Forza Italia. Ma questo Sacchi, nella sua biografia non lo dice. Il calcio, il suo calcio, è l’unica spiegazione delle cose. Il razionalismo pallonaro di Arrigo lo porta a sostituire Baggio con Marchegiani, il secondo portiere, nella partita decisiva contro la Norvegia, con l’Italia in 10. È socialismo calcistico, che diventa liberalismo grazie alle vittorie e allo spettacolo, che però in America non si vede. Nei Mondiali USA è sacrificio, corsa, volontà. È Mussi che arriva sul fondo con le ultime energie rimaste e serve Baggio che di piatto “fa scendere la squadra dall’aereo su cui era già salita, per tornare in Italia“. Si vedono sprazi di gioco contro la Spagna, ai quarti, e nei primi 25 minuti della semifinale contro la Bulgaria.

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L’Italia di Sacchi è tutta qui. Poi resta una partita, ma è la finale più brutta di sempre, quella del clima torrido, delle occasioni sprecate, di Baggio che gioca zoppo, del bacio di Pagliuca al palo. Ma non bastano i tentativi di aggraziarsi la fortuna, stavolta la sorte non sorride ad Arrigo che sa che i rigori non sono una lotteria. L’Italia ci arriva stanca, insicura, Baresi e Massaro sbagliano. Ma soprattutto sbaglia Baggio. Nonostante questa incompiuta il «Times» ha nominato Arrigo Sacchi, nel 2007 «il miglior allenatore italiano di tutti i tempi». Una storia che merita di essere letta. Una storia di calcio totale. E non solo di calcio, anche se Arrigo non lo sa.