Circa 23 milioni di cittadini italiani, domenica 31 maggio 2015, saranno chiamati ad esprimere la propria preferenza per rinnovare i consigli regionali e i loro Governatori: Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto chiameranno alle urne i loro elettori. Vi sarà, inoltre, il rinnovo di diverse amministrazioni comunali di importanti città, tra cui Venezia, Andria, Arezzo, Trento, Bolzano (queste ultime hanno anticipato il primo turno al 10 maggio, così come le altre città del Trentino Alto-Adige e della Valle d’Aosta). Election day che giunge dopo un’estenuante campagna elettorale, affrontata dai vari candidati con tutte le armi a loro disposizione, a colpi di manifesti e comizi ma anche di hashtag e live tweeting. Nuovi strumenti offerti dalla tecnologia che, però, sembrano portarsi dietro vecchi vizi.
Le elezioni regionali e amministrative vengono solitamente classificate come elezioni di secondo ordine, mettendo in evidenza come la posta in gioco in queste competizioni sia estremamente limitata rispetto a quella delle elezioni politiche nazionali. Da un punto di vista macroscopico l’importanza delle elezioni di secondo ordine si può ricercare nel fatto che esse rappresentano una indicazione indiretta degli umori dell’elettorato rispetto al governo in carica e possono avere effetti anche molto rilevanti sulla tenuta dell’esecutivo. In un paese come l’Italia anche il battito delle ali di una mosca (una farfalla sarebbe troppo nobile per essere accostata alla nostra politica) può scatenare un uragano. Ogni arena, quindi, per quanto di secondo ordine finisce con il costituire il terreno di un confronto fra maggioranza e opposizione. Accanto alla tradizionale posta in gioco individuata dalla “quantità” di potere che si vince o si perde attraverso la competizione elettorale c’è una posta in gioco simbolica non meno importante: quella connessa appunto alla possibilità di influenzare il clima di opinione orientandolo in senso favorevole alla leadership di governo e accreditandosi come “vincitori attesi” delle future competizioni elettorali. Il minor valore attribuito a queste scadenze elettorali sarebbe, però, confermato da una valutazione dell’attenzione da parte dei media, dell’interesse dell’opinione pubblica e dell’investimento sia in termini materiali sia programmatici da parte dei protagonisti della competizione.
Tutte considerazioni giuste ed opportune, ma andatelo a dire ai diretti interessati. Politici e aspiranti tali che si spendono anima e corpo, ma anche a suon di post, foto e tweet, per organizzare una campagna elettorale che possa garantire visibilità e incrementare la speranza di qualche voto in più.
Fino alla fine della prima decade degli anni 2000, la campagna elettorale era caratterizzata dall’uso di mezzi offline, dai manifesti ai santini passando per comizi e riunioni, cui però cominciavano ad affiancarsi strumenti online statici e dalla scarsa interattività. A partire dal biennio 2008-2009 in Italia si sono diffuse le principali piattaforme di social networking, come Facebook, YouTube e Twitter. Candidati e partiti politici hanno, quindi, fatto il loro ingresso in questo nuovo ecosistema informativo riproducendo tendenzialmente modalità comunicative monodirezionali e top-down tipiche della comunicazione dei media mainstream: stessi messaggi con una veste differente, informazione senza partecipazione, un’offerta politica che si presentava come “vino vecchio in botti nuove”. Solo questione di tempo. Ad oggi, infatti, l’economicità del mezzo, la sua facilità d’uso, la possibilità di una comunicazione diretta con un’ampia platea di cittadini, l’interesse mediatico verso i social nonché la sua rapida diffusione fra la popolazione italiana sono solo alcuni dei fattori che aiutano a spiegare quello che è sotto gli occhi di tutti: Facebook e Twitter sono divenuti gli strumenti di comunicazione politica online più utilizzati. Con i dovuti distinguo. In molti casi, infatti, la presenza su una piattaforma social ha un valore meramente simbolico essendo associata a un seguito e a un’attività estremamente limitate.
La funzione che tanti politici attribuiscono ai social network dovrebbe essere quella di recuperare un rapporto diretto con i cittadini liberandosi dai flussi di comunicazione mainstream. Spesso, però, alcuni (quelli che hanno buoni budget a disposizione) ricorrono all’acquisto di pacchetti di centinaia o migliaia di falsi fan e follower privi di un reale interesse nei confronti del candidato. I motivi sono molteplici. In primo luogo, il fatto di presentarsi in cima alle classifiche di popolarità sui social network genera una grande visibilità mediatica. In questo caso, infatti, i media dedicano spesso una particolare attenzione al candidato presentandolo come il “sindaco del Web” o, nell’attesa di conoscere i risultati delle elezioni, dichiarano che il candidato ha già prevalso nella competizione online. In secondo luogo, i dati relativi alla popolarità sui social media possono essere resi noti fino al giorno prima delle elezioni, momenti in cui si apre un periodo di silenzio in cui sono vietate assemblee, comizi, attività di propaganda, discussioni in luoghi pubblici o sui media a proposito della campagna elettorale. In terzo luogo, il successo di un candidato sui social network (reale o fittizio che sia) potrebbe generare il celebre “effetto bandwagon” ovvero la tendenza di quella parte di elettorato più incerto a salire sul carro del vincitore,votando per il candidato che riscuote maggior sostegno online. Oltre a queste spiegazioni, che sembrano essere quelle maggiormente plausibili, se ne potrebbero individuare delle altre.
L’avvento dei social ha, quindi, trasferito online vizi e virtù della politica offline, portando cambiamenti nella comunicazione ma non sempre nei modi di fare. L’unico cosa che sembra davvero destinata a non cambiare è la x da mettere sulla scheda, l’unico gesto capace di portare un cambiamento.
“La Rivoluzione si fa nelle piazze con il popolo, ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello”.
Paolo Borsellino
[Cover source: film “Gli Onorevoli”]