Marco Van Basten non poteva saperlo. Che quel gol con la maglia dell’Ajax, contro il Lokomotive Lipsia nella finale di Coppa delle Coppe del 1987, avrebbe negato per sempre ad una squadra della Germania Est la possibilità di vincere un trofeo internazionale. Qualche anno dopo sarebbe caduto il Muro di Berlino e Lipsia sarebbe finita pian piano ai margini dell’irrilevanza calcistica. Fino all’arrivo, nel 2008, di quattro signori con un budget apparentemente illimitato, disposti a comprare la squadra della vicina Markanstadt, una cittadina di 15.000 abitanti, per trasferirla, qualche anno più tardi,  nel moderno Zentralenstadion, 44.000 posti e un nuovo nome.

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Quei signori rappresentavano una della aziende più importanti, e facoltose, del mondo: la Red Bull, già protagonista in altri sport e, in parte, nel calcio, con le esperienze di New York e Salisburgo. Ma la nuova Europa, per i manager, di Red Bull, è altrove. Bisognava trovare un posto da rilanciare. Una città vivace e un progetto in grado di dare valore aggiunto all’investimento. Questo posto è Lipsia. Curioso, perché la città della Sassonia è stata una delle capitali del calcio dell’est, insieme a Dresda e Jena, certamente più di Berlino. Il cuore pulsante del tifo dell’ex DDR, un catino dove giocare era molto difficile; vincere quasi impossibile. Quando la moderna Red Bull Arena (questo il nuovo nome dello stadio) era il fortino della Lokomotive, e si chiamava Zentralstadion.

Le fiere, la musica e i libri hanno reso Lipsia famosa in tutto il mondo. Tradizionale rivale di Francoforte a livello economico e culturale, la città di Lipsia sta riscoprendo le radici storiche che fin dal 500 la caratterizzarono come una delle città più importanti e vivaci dell’Europa centrale. Sicuramente è anche per questo che la RasenBallsport Liepizig (nome esteso del nuovo club) è stata fondata qui. RasenBall come “palla su prato”. Presto abbreviato in RB, come Red Bull. E tutto torna. È stata aggirata così la regola che in Germania impedisce alle aziende con scopo di lucro di dare il proprio nome alla squadra, a meno che non si tratti di investimenti a lunghissimo termine, come quello della Bayer a Leverkusen. Un vero e proprio matrimonio con la città e con la squadra.

Poi sono arrivate le promozioni, dalla Oberliga fino alla Zweite Liga, la serie B tedesca. Un’ascesa costante che rappresenta solo la prima fase di un progetto che dovrebbe portare Lipsia in Bundesliga e poi in Champions League. Almeno questo è l’intento del suo facoltoso presidente. Facoltoso ma con un progetto diverso da quello degli sceicchi di Parigi e Manchester, ad esempio. Niente nomi altisonanti: in cinque anni Dietrich Mateschitz ha costruito un centro sportivo, acquistato alcune della migliori promesse del calcio giovanile tedesco e assunto molti manager rampanti. Strategicamente non si può dire che il progetto non sia lungimirante: la novità dell’est contro le potenze dell’ovest, la rinascita (non solo sportiva) di una città, la scalata dal basso, i talenti sconosciuti.

Nonostante questo a Lipsia non sono pochi i nostalgici che guardano alla RB Lipsia come ad un’operazione di marketing e sono tornati a tifare per la “loro” Lokomotive. Ne abbiamo parlato con un esperto di calcio dell’est: Pietro Cabrio è nato a Venezia e ha poco più di vent’anni. Studia scienze politiche all’Università di Padova e da circa un anno gestisce “Nogometni“, un blog cult in cui cerca di spiegare il calcio dell’est Europa. Pietro scrive anche di sport per Il Post.

Ciao Pietro, qual è la situazione del calcio a Lipsia? La RB Lipsia è la prima squadra della città o l’investimento della multinazionale austriaca al momento si sta rivelando più complesso del previsto?

La situazione del calcio a Lipsia è ancora molto promettente, a mio avviso. Quando la Red Bull punta forte su qualcosa difficilmente fallisce. È anche vero però che non stiamo parlando del campionato austriaco, dov’è bastato poco perché il Salisburgo arrivasse al vertice. La seconda divisione tedesca è molto più competitiva della prima divisione austriaca e non basta qualche milione in più per arrivare in alto, ci vogliono una struttura solida e una squadra con pochi punti deboli e ben allenata. Il Lipsia è salito in seconda divisione abbastanza facilmente, l’anno scorso è arrivato a otto punti dai playoff e avrebbe potuto giocarseli se non avesse buttato tre delle ultime quattro partite di campionato. Quest’anno non ha cominciato benissimo ma resta tra le favorite per la promozione.

Perché Lipsia, culla del calcio DDR, fa gola alla Red Bull?

La Red Bull ha scelto Lipsia perché la città soddisfaceva diversi criteri: nel 2009 era una città di mezzo milione di abitanti con uno stadio nuovissimo da più di cinquantamila posti ma praticamente senza una squadra di buon livello. Era praticamente già tutto fatto, bastava “piantarci” una squadra e un’organizzazione.

Credits: Red Bull Arena Leipzig© GEPA Pictures
Credits: Red Bull Arena Leipzig© GEPA Pictures

È vero che l’ambizione è quella di conquistare la qualificazione in Champions in 5 anni?

Il fondatore e proprietario della Red Bull, Dietrich Mateschitz, non hai mai nascosto le sue ambizioni per quanto riguarda Lipsia. Probabilmente ci vorranno più di dieci anni e cento milioni di euro ma alla fine credo che vedremo il Lipsia giocare in Europa.

Perché, a tuo parere, le squadre della ex DDR non sono riuscite a imporsi nel calcio europeo. Cosa è mancato o manca a città come Berlino, Lipsia e Dresda?

Le squadre dell’ex Germania dell’est hanno avuto molti problemi proprio perché sono state squadre dell’ex Germania dell’est. Quelle dell’ovest viaggiavano ad un’altra velocità. Se sul campo a volte le squadre dei due paesi si equivalevano, economicamente non c’è mai stata competizione. Poi ci sono casi particolari come Berlino e Dresda, due città che possono contare su tantissimi tifosi e ottime strutture ma che ogni anno fanno sempre molta fatica.

Negli stadi tedeschi è facile trovare delle tifoserie che nelle loro curve espongono striscioni contro la squadra della Red Bull. Tu cosa ne pensi a riguardo, da amante del calcio dell’est?

Io non sono così critico nei confronti del progetto Red Bull, che è senza dubbio quello più estremo, o di altri conglomerati dipendenti da un’azienda o da una famiglia. È esattamente quello che servirebbe alle squadre dei piccoli campionati dell’est Europa: affiliarsi a squadre più grandi, diventare proprietà di gruppi ben organizzati e liberarsi dai proprietari locali che un anno investono cifre assurde, l’anno dopo vengono accusati di corruzione o riciclaggio e un anno dopo ancora lasciano le società in stati pietosi. Meglio Red Bull di Gigi Becali (proprietario della Steaua) o della disatrosa dirigenza della Stella Rossa degli ultimi vent’anni, per esempio. Il problema più grosso verrebbe però dalle tifoserie, che non accetterebbero mai anche il minimo cambiamento dell’immagine della società. M’immagino la guerriglia che verrebbe fuori se la Red Bull pensasse di comprare Partizan, Stella Rossa, Dinamo Zagabria o Wisla Cracovia.

Credits: Shutterstock, photo by Adam Reiss
Credits: Shutterstock, photo by Adam Reiss

In conclusione possiamo dire che la scelta di Lipsia e la gestione sportiva della squadra sembrano particolarmente azzeccate, nonostante i malumori e le polemiche di qualche tifoso, anche avversario. Come quelli dell’Union Berlino che si sono presentati allo stadio di Lipsia con la maglia nera e sono rimasti 15 minuti in silenzio per onorare “la morte del calcio”. Red Bull va avanti per la sua strada ed ha scelto una delle città tedesche da cui si attende la maggiore crescita nei prossimi anni. Una città che ha tutto l’interesse a raccontarsi come il centro della ripresa della Germania orientale. E forse non solo.