L’ipotesi di rivedere a Bari il ragazzino che in una notte di dicembre fece venire il mal di testa a due campioni come Blanc e Panucci, e mise a segno il gol della vita in quello che allora era lo stadio dei suoi sogni, è mediaticamente molto affascinante. Tutta l’Italia è concorde nel pensare che rivedere Cassano con la maglia della squadra della sua città sarebbe più che affascinante. E se non avessimo abusato, ultimamente, della parola “favola” per descrivere circostanze calcistiche avvenute dalle parti di Bari, a quest’ora avremmo già smesso di cercare sostantivi adatti al ritorno del figliol prodigo.
Ma come dice Renato Zero “un ritorno non è impresa da niente”. Specialmente se non è ancora arrivato (e chissà se arriverà) il giorno in cui hai fatto pace con te stesso. Fermiamoci all’ultimo capitolo: Cassano che rescinde con il Parma. Non credo servano ulteriori spiegazioni dopo il bellissimo editoriale di Giuseppe De Bellis su Rivista Studio: i contratti vanno onorati, bisogna smetterla con i club che vivono al di sopra delle proprie possibilità. Cassano ha semplicemente esercitato un suo diritto, con metodi risoluti e franchi. Farlo passare per un mercenario è un trucco per non rivelare le debolezze di una società che ha sottoscritto, un anno e mezzo fa, un contratto che non poteva permettersi. La prospettiva è mancata al Parma, non a Cassano.

Adesso Tonino è libero di scegliersi una squadra. Prigioniero solo del suo ingaggio, perché parliamoci chiaro a certe cifre in Italia puoi andare in pochi posti. E in alcuni di questi posti hai già fatto terra bruciata. Roma, Milano, manca Torino, ma l’unico estimatore che Cassano aveva alla Juve fa Elkan di cognome. Peccato che di nome faccia Lapo e che oggi, della Juventus, svolga unicamente la mansione di tifoso. Più facile vederlo in granata, a questo punto. Ma torniamo in Puglia. Fosse per l’ingaggio chiuderemmo qui la questione con una sentenza: quello tra Cassano e il Bari è un matrimonio che non si può fare. Paparesta al momento ha addirittura problemi a ricapitalizzare, figuriamoci a pagare un ingaggio come quello del ragazzo di Bari vecchia.
Perché Cassano resta sempre un barese anche fa arrabbiare i suoi concittadini quando, intervistato da Fazio su Rai 3, dice “Casa mia è Genova“, come se con la sua città avesse un conto in sospeso, una sorta di ferita aperta nei confronti di chi l’ha sì amato ma mai in maniera incondizionata. Ciò non toglie che il cuore e l’accento siano baresi e che certe dichiarazioni non sono scolpite sulla pietra. Ognuno le legge come vuole, e sono sicuro che se Cassano firmasse con il Bari domani, verrebbe accolto da un vero e proprio bagno di folla all’aeroporto, luogo ormai caro ai baresi. Per informazioni chiedere a Sciaudone, attualmente di stanza a Catania. Ma questo è fin troppo facile da prospettare.
In realtà il ritorno del figliol prodigo sarebbe fattibile, se ragionassimo solo in termini di sentimenti. Che nel calcio fanno sempre bene, ma a volte non bastano a delineare uno scenario completo. Cosa potrebbe riportare Cassano in quella che è ormai la sua seconda casa? E perché il Bari dovrebbe investire su un calciatore di 32 anni piuttosto che rafforzare seriamente la squadra con gli stessi soldi che spenderebbe per il suo ingaggio? Anche perché arrivano da Bari notizie sul ritorno quasi certo di Nicola Bellomo, uno che di Cassano poteva essere l’erede ideale. Uno che, in parole povere, giocherebbe nel ruolo di Tonino, o giù di lì.

Due lussi, perché Bellomo è un lusso in B, in una squadra che manca di fondamenta, sembrano francamente troppi. Cassano potrebbe arrivare a Bari, a dare una mano, se firma per una lega diversa da quella italiana, assicurandosi un futuro a 6 cifre. Il caso Giovinco è significativo: la formica atomica ha siglato con il Toronto uno dei contratti più ricchi mai firmati da un calciatore italiano. Da qui a giugno farebbe carte false per potersi allenare con regolarità e scendere in campo con una squadra che non sia la Juventus. Chissà che per la testa di Cassano non passi lo stesso pensiero: strappare un ultimo contratto da milionario lontano dall’Italia e prepararsi a questa avventura con sei mesi a Bari, dove verrebbe accolto da re.
Che poi queste storie siano piene di intrighi, sorprese e colpi di scena lo dimostra, con le dovute proporzioni, Lampard, che pare non abbia nessuna intenzione di lasciare il Manchester City per l’America. E chi può dirlo che Cassano non possa innamorarsi di nuovo delle orecchiette alle cime di rapa e che non si convinca, nel frattempo, che la focaccia barese è più buona di quella genovese. Magar’a Crist direbbe un barese. Il secondo scenario può essere un piano di rientro che preveda diritti di immagini, televisivi e di sponsor che tanto affascinano l’attuale presidente del Bari. Che al momento ha raggiunto risultati migliori nel campo del marketing che su quello da calcio. Questa non vuole essere una critica, perché è di per sè un ottimo risultato per una piazza che un anno fa stava portando le carte in tribunale e oggi si può permettere di telefonare a Cassano per chiedergli cosa ne pensa di un ritorno a casa.

Tutto sta a capire se è Cassano ciò di cui il Bari ha bisogno. E soprattutto se è Bari quello che serve a Cassano per tornare a divertirsi con il pallone tra i piedi. Perché se Cassano si diverte, la gente si diverte. E il calcio italiano ne guadagna. Se Cassano non si diverte ne subisce le conseguenze tutta la squadra. Mi piace citare due esempi di ritorni, diversi tra loro: Miccoli al Lecce dopo un’infelice intercettazione si era fatto terra bruciata intorno, ma da tempo, a differenza di Cassano, raccontava che il suo sogno era chiudere la carriera a Lecce. Più suggestiva la storia di Zola, che dopo essere diventato l’idolo dello Stamford Bridge tornò ad essere una bandiera della Sardegna. Ci pensi Antonio, dipende soprattutto da lui questa volta. Perché non ci credo neanche un po’ al fatto che abbia voglia di smettere. E sotto sotto non ci crede nemmeno lui.
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