Pierluigi Castagnetti ha rappresentato per anni uno dei punti di riferimento per quell’area ex Dc che con fatica, ma caparbietà, è riuscita a ritagliarsi uno spazio nel Centrosinistra, riuscendo a portare a compimento una fusione con la tradizione socialdemocratica che mancava al Paese e rappresentava un gap rispetto agli altri Partiti di Sinistra europei.
Segretario del PPI, protagonista assoluto nella Margherita, è stato fino alla penultima legislatura uno dei più importanti esponenti del Partito Democratico, che ha contribuito a costruire. Presidente della Giunta per le Autorizzazioni a procedere della Camera dei Deputati dal 2008 al 2013, oggi rappresenta ancora una delle voci più autorevoli per il suo partito. Con questa intervista si vuol dare la possibilità di fare riflessioni sulla situazione politica odierna.
Le risposte, non prive di osservazioni interessanti, risultano uno strumento utile per chi cerca di capire meglio questo momento politico.
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La decisione di far aderire il Partito Democratico nel gruppo del PSE ritiene sia stato un errore vista la volontà iniziale del Partito di collocarsi al di fuori dei gruppi storici PSE e PPE? Se si quale sarebbe stata la sua opinione sull’alternativa migliore, da illustre rappresentante dell’area cattolico sociale del PD?
“Sì lo considero un errore. Il Pd è nato con l’ambizione di rappresentare una novità, sia in Italia che in Europa. La novità di un partito post-ideologico in grado di modernizzare l’intero sistema politico. Entrare nel PSE, la famiglia dei socialisti europei nata nel novecento, ha significato rinunciare a questa ambizione. E’ evidente che la collocazione del Pd in Europa deve essere nell’area dei progressisti, ma in quell’area ci si può stare, com’è accaduto negli ultimi cinque anni, con la propria autonomia, rappresentando una novità- termine di paragone e provocazione a cambiare per i partiti tradizionali. Quando nacque l’Ulivo la socialdemocrazia europea lo salutò come la novità che avrebbe costretto tutti i partiti progressisti a cambiarsi. Poi non accadde nulla. Sino alla nascita del Pd e alla nostra associazione nel Parlamento europeo al gruppo dei socialisti, ponendo come condizione il cambio del nome e dello statuto, “Socialisti e Democratici”. La nostra adesione al Pse, se proprio la si voleva fare avrebbe dovuto rappresentare un passo in avanti com’erano disponibili a fare – questo a me risulta – i partiti socialdemocratici nordeuropei.”
Per sua decisione lei si è distaccato dall’impegno diretto nelle istituzioni. Come vede da spettatore esterno ma interessato il nuovo Parlamento? E come considera l’attività parlamentare del M5s?
“Il nuovo Parlamento, per tante ragioni, è condizionato dalla sua composizione che non consente la definizione di una maggioranza omogenea. Purtroppo non ci si può attendere molto sul piano operativo.
Il M5S è stato, nelle ultime elezioni, un mero raccoglitore dei voti della protesta che le politiche di austerità hanno alimentato nel paese. E, come tale, si comporta in Parlamento. Protesta senza capacità di rappresentare un’alternativa politica, e senza la minima responsabilità che l’interesse del paese richiederebbe a tutte le forze politiche, qualunque sia la loro collocazione.”
La storia politica di Renzi seppur con le dovute differenze è stata affine alla sua, con l’ex Sindaco di Firenze che è cresciuto nel PPI e nella Margherita, entrambi Partiti in cui lei è stato protagonista. Ritiene che col suo esecutivo stia portando avanti una politica di continuità con quella tradizione?
“No Renzi, che pure viene dai Popolari, non lo si può giudicare con le categorie del passato. È un uomo di rottura che esprime programmaticamente la volontà di rompere con i passati equilibri, per tentare la profonda modernizzazione di un sistema che dopo oltre 60 anni si è obiettivamente logorato. Ci riuscirà? C’è da augurarselo, nell’interesse del Paese.”
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Come considera la legge elettorale e le riforme istituzionali scaturite dall’accordo tra Renzi e Berlusconi?
“Le considero migliorabili. Ciò che importa, in questa fase, è coinvolgere la maggior parte possibile del parlamento. La Costituzione si cambia convincendo chi ha perplessità. Aldo Moro, in una situazione analoga, parlò con tutti i parlamentari dubbiosi. In ogni caso, quando si vogliono fare le riforme, occorre creare quello spirito costituente che richiede l’abbassamento dei toni e l’innalzamento dello sguardo verso il futuro.”
Il suo sito, contrariamente a quello di molti suoi colleghi, è ben curato. Ritiene che questa sia la formula adatta per raggiungere l’elettorato più giovane?
” È una delle modalità. Certo il linguaggio delle nuove generazioni è molto diverso da quello mio. Occorre almeno usare gli stessi mezzi, per trovare una modalità di dialogo. Sto su Twitter proprio per questo.”
No il bicameralismo paritario non può essere difeso. Ma il modo, quando c’è di mezzo la costituzione, é sostanza.
— PL Castagnetti (@PLCastagnetti) 31 Marzo 2014
Questa intervista lascia una strana sensazione; la “rottamazione” di Renzi non può e non deve essere generazionale, ma mirata ai politici che non sono più in grado di comprendere la politica di oggi. Questo non è il caso dell’On. Castagnetti.
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