Sportivo sarai tu”: è stato questo il titolo della puntata di “Report“, condotto da Milena Gabanelli e andata in onda lunedì 5 maggio su Rai3. Un viaggio affascinante, crudo e limpido al tempo stesso, nel mondo dello sport italiano, attraverso la voce degli atleti, dei dirigenti e degli allenatori anche delle piccole realtà locali, costrette a lottare contro regole rigide e selezioni delle Forze Armate non sempre svolte alla luce del sole e che non tengono conto delle reali potenzialità e dei risultati di giovani che vorrebbero fare dello sport la loro vita.

In Italia ci sono 1247 atleti militari stipendiati dallo Stato, 6 milioni di sportivi amatoriali, 4 milioni e mezzo di agonisti,45 federazioni sportive, 16 enti di promozione,95mila società sportive dilettantistiche. Nel grande villaggio dello sport c’è chi sta a galla a malapena e c’è chi vive da signore con il denaro raccolto dai tesserati e con i milioni che piovono giù dal Coni. Il Coni distribuisce 411 milioni, denaro pubblico che riceve dal Tesoro e che dovrebbe servire a promuovere l’attività sportiva. Vediamo che uso ne fanno le varie federazioni sportive: dal calcio dilettanti al nuoto, dal tennis agli sport dell’aria, dagli sport equestri all’atletica, al tiro a segno, al pugilato. E poi c’è il Coni con i suoi 1200 dipendenti e il presidente, l’imprenditore Giovanni Malagò, che aveva promesso di portare trasparenza ed efficienza. Ma in certi ambiti sportivi chi osa criticare è punito o radiato, mentre in altri si abusa delle agevolazioni fiscali per evadere tasse e contributi.
Il caso di Tamara Apostolico, medagliata agli Europei Juniores nel lancio del disco, è stato portato alla ribalta da Report, con l’intervista di Stefania Rimini all’atleta friulana; Tamara è stata costretta a ritirarsi dall’attività agonistica, dall’atletica vera, fatta di vittorie,sconfitte, gioie, fatica e sudore, perchè praticava una disciplina poco appetibile dai centri sportivi militari e che non aveva la giusta audience nei programmi sportivi televisivi. Altra motivazione della sua esclusione, nonostante risultati straordinari, è stato il fatto che la Apostolico gareggiasse con braccia e gambe coperte.

Tutti gli ori di Londra 2012 sono andati a tesserati delle Forze Armate. La squadra azzurra schierava 194 militari su un totale di 290 atleti (67% contro il 27% di Barcellona 1992). Viviamo un’anomalia:siamo primi nell’Occidente per “atleti di stato”. In realtà manca una cultura sportiva, un peccato che produce obesità nelle fasce più giovani. La scuola grande imputata. Lo sport italiano è in mano alle Forze Armate. Calcio escluso, quasi tutte le discipline olimpiche non vivrebbero senza i soldi dei gruppi militari. Qualche numero. Ai Giochi di Londra 2012 erano 194 gli atleti militari su un totale di 290 azzurri (quasi il 67%, contro il 27% registrato vent’anni prima, a Barcellona 1992). Erano militari tutti i vincitori delle medaglie d’oro: cinque per le prove individuali e undici per quelle a squadre. Nella foto: Elisa Di Francisca (Fiamme Oro), Arianna Errigo (Carabinieri), Valentina Vezzali (Fiamme Oro) e Ilaria Salvatori (Aeronautica). L’89% del medagliere italiano apparteneva alle Forze Armate.

Agli ultimi campionati del mondo dilettanti di pugilato, parlo dell’edizione 2013, l’intera squadra azzurra (dieci elementi) era tesserata per i gruppi militari.

Nella sola scherma si contano novantadue atleti che operano sotto questo controllo. In totale sono circa 2500 gli atleti, i dirigenti e i maestri legati alle Forze Armate. Vengono arruolati dopo un concorso per titoli e prendono, al primo incarico, uno stipendio che va dai mille ai millequattrocento euro al mese. A cui si sommano premi, diarie e bonus per risultati particolarmente importanti. Il contratto è per volontari in ferma provvisoria ed ha valore quadriennale, rinnovabile ogni due anni. Se al momento del rinnovo non si hanno i requisiti per andare avanti (in altre parole non ci sono più i risutati a sostenere la candidatura) si può lasciare il corpo o ottenere un altro incarico al suo interno, cosa che fanno praticamente tutti. La Legge 31 marzo 2000, numero 78, ha riconosciuto la possibilità per i corpi armati e le forze di polizia di arruolare atleti con risultati di livello nazionale. Ci sono dentro tutti. Di Francisca, Vezzali, Cagnotto, Scozzoli, Russo, Cammarelle e tanti altri ancora. La quasi totalità dell’élite italiana.

Carabinieri, Esercito, Polizia, Finanza, Forestale, Aeronautica, Polizia Penitenziaria, Marina, Vigili del Fuoco. Non c’è arma che non vada a caccia del campione. Alla vigilia di Londra 2012 si è scatenata addirittura una sorta di rincorsa all’ingaggio che ha visto tra gli altri Clemente Russo e Aldo Montano diventare oggetto di una accesa trattativa che ha visto prevalere le Fiamme Azzurre. La disputa è stata così eclatante da richiedere il deciso intervento di un’alta carica delle Forze Armate che si è impegnata per fare tornare la tranquillità.

Eppure la gestione dello sport italiano è nelle mani del Coni, un Ente pubblico che dipende dal Governo.
Si lamentano le società dilettantistiche che vedono perdere i loro potenziali campioncini che scelgono la certezza economica, pensione compresa, dei gruppi militari piuttosto che l’incerto futuro legato ai risultati. La gente si chiede quanto sia giusto pagare con soldi pubblici atleti che continuano a fare come unico lavoro quello degli sportivi, a parte alcuni limitati impegni di rappresentanza.

Dovremmo però anche chiederci perché lo sport sia ridotto in queste condizioni. Il Coni non ha abbastanza soldi per gestirlo in toto. L’intervento dei Gruppi Militari è diventato l’ancora di salvezza.
Del resto viviamo in una nazione che nel 2012 ha investito la miseria di cinque milioni di euro nel progetto di alfabetizzazione motoria per la scuola primaria. Siamo in un Paese che ha il 23% di obesi nella fascia di età che va dai 6 agli 11 anni. In Italia solo il 38% dei giovani tra i 15 e i 24 anni fa sport, contro il 70% della Spagna e il 65% di Germania e Francia.
La scuola non fa nulla per aumentare la cultura sportiva, né tantomeno la pratica. I giovani atleti, sembra che il tempo si sia fermato in questo settore, vengono visti come elementi da punire anziché da capire. Niente crediti sportivi, niente orari flessibili in concomitanza con le gare, niente possibilità di studio a casa in particolari periodi e successiva verifica scolastica.
Tutto questo perché in Italia non c’è cultura sportiva. Si ignora addirittura il concetto che una politica che stimoli l’attività motoria possa far risparmiare soldi in medicine, fisioterapia, evitare pericolose malattie. L’obesità è in crescita, non ci si può preoccupare esclusivamente dell’alimentazione. E’ una visione miope del problema.

Fino a quando in Italia vedremo lo sport solo dalle tribune degli stadi non diventeremo mai un Paese moderno che gestisce il sociale preoccupandosi di ogni suo aspetto. Importiamo qualsiasi cosa dagli Stati Uniti, anche le più orrende tendenze in fatto di moda o stili di vita. Perché mai non potremmo importare almeno un aspetto positivo, tipo la gestione dello sport in età scolare?

Eppure lo sport è un mondo dove dovrebbero dominare i valori di lealtà, correttezza, coraggio e passione disinteressata.