C’era una volta l’educazione, adesso non c’è più. Lo vediamo in ogni piccolo gesto della quotidianità e lo notiamo perché consapevoli di cosa sia l’educazione. C’erano una volta “grazie”, “per favore”, “scusa”: parole che se non dette, da bambini, ci sarebbero costate il sermone noiosissimo di mamma e papà. Parole che ricordavamo proprio per questo, non comprendendone appieno il valore.
Ma queste sono contemporaneamente le prime parole che si imparano da bambini e le prime che si dimenticano da adulti. Come se per ogni “grazie” detto da piccoli ne morisse uno detto da grandi. Come se non ci spettasse più, dall’alto del nostro vissuto, spesso più basso di quanto non si creda, dimostrare quella cortesia ormai comparata alla debolezza.
Dimentichiamo persino di insegnarlo, ai nostri allievi, ai nostri figli, ai nostri fratelli o sorelle minori. Dimentichiamo di donare l’arma più potente del mondo a chi ancora non sa cosa sia. Per questo ci troviamo davanti a una generazione di ineducati, non di maleducati.
Genitori assenti, spesso travolti da mille preoccupazioni, sono in grado di dedicare ai propri figli solo materialità, forme di compensazione della loro assenza. Ma quanto c’è della mamma, del papà, del nonno, quanto c’è dei propri maestri di vita in ogni “grazie” “per cortesia” o “mi dispiace” che pronunciamo? Dentro c’è il tempo, la dedizione, l’interesse, l’amore. C’è l’insegnamento dei valori più importanti della vita. C’è il rispetto delle regole dei giochi. C’è il rispetto per gli altri, tutti gli altri. C’è l’esempio di un approccio al mondo.
È la migliore eredità che un genitore possa lasciare a un figlio: l’educazione della coscienza, affinché sappia distinguere cosa è giusto da cosa è sbagliato; l’educazione caratteriale, affinché sappia affievolire i difetti e godere dei suoi pregi, affrontando le situazioni e superando gli ostacoli come si deve, senza prevaricare scorrettamente su nessuno; l‘educazione del cuore, affinché apprezzi i valori e li riconosca come fondamentali nella propria vita.
Questi sono i tasselli che un genitore deve inserire nella crescita e nella formazione del proprio bambino. E da cosa può iniziare? Semplice, dall’esempio. In mille situazioni durante le complicate giornate da adulto, un genitore si troverà a mettere da parte quell’educazione di cui si dice praticante, per lottare per la sopravvivenza in un mondo che non fa più sconti a nessuno. Ma un bambino crede in qualcosa se vede i suoi genitori crederci fermamente ed insistere affinché ci creda anche lui. Un bambino ha fiducia nel bene se sua madre e suo padre combattono perché avvenga nelle piccole cose di ogni giorno.
Bisogna ripartire, dunque, dall’educazione dei genitori? Bisogna condurre una probatio diabolica circa la responsabilità di questa ineducazione generale? Perché siamo questo adesso: una società che si stupisce davanti all’arma più potente del mondo. Quella che potrebbe permettere qualunque cosa. Siamo una società che compara l’educazione alla debolezza e così la affronta, come una cosa di cui ormai si può fare a meno, perché tanto nel modo sbagliato si arriva prima.
E chi si chiede con quale coscienza vuole vivere, con quale vuole arrivare a destinazione, è una persona fortunata. È una persona educata, che conosce quelle parole che non usa nessuno e sa che sono le più magiche di tutte. Sa che lo rendono potente.