C’era una volta la Sinistra italiana, quella di Togliatti e Berlinguer. Quella che volgeva lo sguardo ad est, verso la Russia, ma che di sovietico aveva poi ben poco.
Il Pci non mai è stato un partito come gli altri, basti guardare la situazione degli altri Paesi occidentali nei primi decenni del post guerra per capirlo; non c’è nessun partito comunista che abbia avuto minimamente lo stesso successo elettorale e la stessa importanza ricoperta da quello italiano. Un partito in grado di superare costantemente il Psi, e di rimanere sempre all’opposizione senza mai svendere la propria identità ideologica, mentre altrove per le necessità dettate dai cambiamenti nascevano i partiti socialdemocratici.
Poi arrivò Occhetto, la sua “svolta della Bolognina” in una fredda giornata di Novembre del 1989 e le cose per il partito non furono più le stesse.
Il successo del Pci nel Paese del Papa
Il Pci esce dal dopoguerra come l’alternativa più estrema e lontana dagli anni bui del fascismo. Gran parte dei leader del partito erano stati partigiani, avevano combattuto personalmente per la libertà del Paese, e si presentavano come eroi della patria, lontani parenti del totalitarismo staliniano. Ovviamente i voti andati in massa al Pfi di Mussolini furono intercettati dalla più presentabile Democrazia Cristiana; nel Paese del Papa la paura del pericolo rosso c’era allora come oggi, e nonostante il carisma di Togliatti il partito comunista è sempre stato relegato all’opposizione.
Ma una forza che da sola raccoglieva costantemente quasi il 30% dell’elettorato ( numeri che oggi sarebbero invidiati da tutti i partiti maggiori della Seconda Repubblica ), non poteva essere bollata come semplice fenomeno post bellico, ma doveva necessariamente essere presa in considerazione come pilastro stabile del sistema partitico italiano.
Intanto più passavano gli anni, più il Pci si distaccava dalla madre Russia; erano gli anni di Enrico Berlinguer e il partito non sarebbe stato più lo stesso da lì in poi.
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Berlinguer e il “compromesso storico”
Il compromesso storico ( o alternativa democratica come preferivano chiamarla in ambiente comunista ), era la strana frase con cui si identificava il tentativo di riavvicinamento negli anni ’70 tra la Dc di Moro e il Pci di Berlinguer. L’ala sinistra della Democrazia Cristiana di Zaccagnini intravedeva in questa storica fase la possibilità di un reale cambiamento per il Paese, quella destra di Andreotti lo interpretava come un futile tentativo confusionario. A levare ogni dubbio ci pensarono le Brigate Rosse col rapimento e l’uccisione di Moro, che di fatto posero fine a ogni possibilità concreta per il Pci di far parte del governo e allontanarono i due partiti maggiori fino alla fine della Prima Repubblica.
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Lo scioglimento del Pci
Achille Occhetto rappresenta tutt’oggi per la Sinistra un oggetto misterioso. Un politico dotato di una certa ironia e di una buona dose di carisma, che si prese carico sulle sue spalle della responsabilità di sciogliere il Pci e fondare il Pds, per dare quella famosa svolta socialdemocratica che mancava al Paese. Era convinto di poter finalmente portare il suo partito al governo ( dopo la scomparsa della Dc e del Psi per lo scandalo di “Tangentopoli”) con la sua “gioiosa macchina da guerra“; ma Berlusconi gli rovinò i piani, Occhetto si ritirò dalla vita politica e da lì in poi gli ex Pci compresero che senza allearsi con nessuno lo spettro della permanenza in opposizione sarebbe sempre durato. Così dopo più di vent’anni dal tentativo fallito da Moro e Berlinguer, la nuova generazione di leader capeggiata da D’Alema e Veltroni inizia a dialogare col PPI prima e con la Margherita poi ( nati dall’ala sinistra della Dc ), e nasce l’Ulivo di Prodi, primo esperimento di quell’alleanza che ha portato al Partito Democratico di oggi.
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Renzi e il Pd
La “rottamazione” di Renzi non ha colpito in maniera mirata gli ex comunisti del partito, ma nel voler eliminare i leader storici del Pd è evidente che la generazione dei D’Alema e dei Veltroni è rimasta coinvolta.
Il Pd fondamentalmente nasce dalla fusione di due anime diverse, quella post comunista e quella post democristiana; quest ultima è stata per anni minoritaria all’interno del partito ma è riuscita a prendere il sopravvento sulla maggioranza di Sinistra, con buona pace di tanti elettori ( e tanti intellettuali ) delusi. Il Pd oggi è il primo partito del Paese, nei sondaggi è dato attorno al 32% ( numeri non lontani da quelli che raccoglieva il Pci ), ma che oggi bastano per vincere. Renzi continua la sua battaglia sulle riforme, con un’idea sul lavoro e il welfare che spesso appare parecchio distante da quella di Sinistra. Ma i numeri gli danno ragione, riesce a intercettare elettorato a destra, è l’unico in grado di tenere a bada Grillo e Berlusconi, e sta dopo anni di sudditanza psicologica del suo partito, conducendo il Pd verso traguardi negli ultimi anni impensabili.
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E allora cosa rimane della Sinistra?
Quelli che alla formazione dell’Ulivo prima e del Pd poi non ci sono proprio voluti stare, i cosiddetti rappresentanti della Sinistra radicale sono uno ad uno scomparsi nel dimenticatoio dopo magri risultati elettorali. Di Rifondazione Comunista rimane solo il nome e i Verdi sono in pratica scomparsi. Di Pietro continua le sue battaglie in tv, ma ha perso ogni possibilità di pesare sullo scenario politico. Dopo la delusione per non essere entrati in parlamento questi piccoli partiti hanno tentato varie strade, tra cui quella fallimentare nel seguire Ingroia alle ultime politiche. Oggi la speranza è rivolta verso la Lista Tsipras, appoggiata da molti intellettuali, è rimasta come ultimo appiglio anche per Vendola orfano dell’interlocutore Bersani. Che questa nuova alleanza abbia successo o meno alle prossime Europee, non potrà rappresentare di certo numericamente una nuova Sinistra.
Intanto la “superiorità intellettuale” che contraddistingueva chi appoggiava certe idee sembra essere svanita. Sempre più personaggi noti, da scrittori a giornalisti ( Santoro in primis ), sembrano essersi allontanati, delusi, dall’interesse di poter fermare questo declino ideologico. C’è chi ha trovato in Grillo una scelta alternativa, chi distaccatosi dalla politica guarda con timore alla deriva ultranazionalista e populista che sta attraversando altri Paesi.
E poi c’è chi con buona pace dei ricordi nostalgici di Togliatti, Berlinguer e di quello che fu, continuerà a votare Pd, perché in fin dei conti anche se non lo ammetterà mai, ma l’elettore di Sinistra era un pò stanco dopo tanto tanto tempo di dover sempre perdere.
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