«Aggiornerò l’equo compenso», aveva promesso ad aprile Dario Franceschini. Ed è stato di parola. Dopo mesi di rinvii e polemiche, venerdì scorso, il ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha firmato il decreto che aggiorna, e aumenta, per il prossimo triennio le tariffe per la riproduzione a uso personale di fonogrammi e videogrammi di materiali audiovisivi, così come stabilito dalla legge sul diritto d’autore (la 633 del 1941). Si tratta del compenso dovuto per la cosiddetta copia privata, un diritto riconosciuto all’utente che ha legittimamente acquistato un contenuto protetto da copyright (canzone, film, ecc..), di farsene una copia per uso personale su cd, dvd, o altri dispositivi dotati di memoria (tablet, pc, smartphone, ecc.). Tale compenso spetta per legge ai produttori e agli importatori di dispositivi tecnologici di registrazione e riproduzione che lo versano a titolo di indennizzo alla Siae (Società italiana autori editori) per compensare gli autori detentori dei diritti di opere tutelate, per i mancati proventi generati dall’attività di copia privata.
Nel dettaglio il rincaro previsto dal nuovo decreto riguarda soprattutto smartphone e tablet. Una scelta che non sorprende, poiché si tratta dei prodotti più venduti attualmente. Secondo il nuovo decreto, che sarebbe dovuto arrivare a fine 2012, si passa dai 0,90 euro (smartphone) a 4 euro per gli stessi dispositivi con capacità di memoria di 16Gb. Stessa tariffa anche per i tablet che nelle precedenti disposizioni non erano soggetti ad alcuna tassa. Su una memory card 4Gb di memoria l’equo compenso è invece di 0,36 centesimi; 0,40 euro per usb key della medesima capacità. Più bassi i prelievi su CD e DVD, rispettivamente 0,10 e 0,20 euro. Il nuovo sistema – che si ispira al modello francese – stabilisce anche l’entità variabile delle tariffe, a seconda del quantitativo di memoria a disposizione: si va da un minimo di 3 euro per i dispositivi fino a 8Gb ad un massimo di 4,80 euro per quelli oltre i 32 Gb. Tali cifre, seppure considerevoli, sono in realtà abbastanza lontane dagli standard di altri paesi come Francia e Germania, dove – come si può vedere dalla tabella diffusa dal ministero – per uno smartphone della medesima capacità si pagano rispettivamente 8 euro (Francia) e 36 euro (Germania), e per un tablet 8,40 euro (Francia) e 15,18 euro (Germania). Ma va da sé che dei 23 Paesi dell’Unione Europea si sono presi come riferimento giusto i due nei quali le tariffe dell’equo compenso sono più alte, addirittura nascondendo con la dicitura “Non disponibili”, i dati relativi a CD e DVD che in Germania sono più bassi che da noi.

«Non chiamatela tassa sugli smartphone», prova a difendersi Franceschini da chi lo accusa di aver imposto l’ennesima stangata sulle tasche degli italiani. Con questo decreto «Si garantisce il diritto di autori e artisti alla giusta remunerazione senza gravare sui consumatori», ha spiegato il ministro che di concerto con il presidente della Siae, Gino Paoli, si è impegnato a destinare parte dei fondi ricavati dall’aumento del compenso per la copia privata (si parla di un ammontare pari a circa 120 milioni) alla promozione di giovani artisti e di opere prime. L’obiettivo del decreto in fondo è questo: proteggere e stimolare chi crea quelle opere di ingegno che contribuiscono a rendere “vivi” i prodotti elettronici. E il plauso del mondo della cultura, per questo passo importante a tutela del settore, della creatività italiana e della sua indipendenza è unanime. Ma a questo si contrappongono i produttori preoccupati dal veder lievitare i costi di produzione, ma anche soprattutto i consumatori. Il ministro ha assicurato in un tweet che l’aumento non graverà affatto sulle tasche dei cittadini.
Firmato decreto copia privata. Il diritto d’autore garantisce la libertà degli artisti e i costi vanno sui produttori, non sui consumatori.
— Dario Franceschini (@dariofrance) 20 Giugno 2014
Ma è impensabile che un aumento dei costi per i produttori non si traduca (tenendo conto anche dell’aumento dell’IVA) in un rincaro dei prezzi di listino, stabiliti tra l’altro dai produttori stessi. Vedi le accise sulla benzina, sull’alcol e sulle sigarette, che solo in “teoria” sono a carico dei produttori. Come sempre, in un modo o nell’altro, sono gli utenti a rimetterci. Perché mai questo ulteriore balzello dovrebbero sborsarlo solo i vari colossi tecnologici? La stessa Apple ad esempio, quando acquisti un suo prodotto dallo store online specifica che nella cifra totale è compresa anche la “tassa sul copyright”. In fondo, poi, non sono nemmeno questi pochi spiccioli in più il nocciolo della questione, quanto un rincaro imposto su dispositivi che in fin dei conti vengono sempre meno utilizzati per quelle attività che arrecherebbero danno ai diritti che si vogliono difendere.
Altro che equo. Non c’è equità se si chiede di pagare due volte: una quando si acquista il dispositivo e, un’altra, quando, si acquista il contenuto stesso. Ma soprattutto non c’è equità se si fa pagare una “presunzione” di comportamento, una possibilità futura che venga fatta una copia privata, a prescindere quindi dall’uso che viene realmente fatto del dispositivo. Una recente indagine commissionata dall’ex ministro del Mibact, Massimo Bray, sul comportamento degli italiani in relazioni alle copie digitali, ha rivelato come poco più del 10% della popolazione italiana ha l’abitudine a creare una copia del materiale acquisito e nel 69,4% dei casi, lo fa tramite computer, mentre smartphone e tablet non vanno oltre il 5%. Ha ragione allora chi come Confindustria Digitale e Altroconsumo ritengono il provvedimento “ingiustificato”. Tassa o non tassa è il concetto stesso di copia privata ad essere ormai obsoleto. In un mondo sempre più proiettato verso il consumo online dei contenuti, ci si ostina a “compensare” per un’abitudine anacronistica.
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