Il Corpo di Napoli ritrova la sua testa. E ce ne ha messo di tempo. Sessant’anni per la precisione. Ci è voluto oltre mezzo secolo infatti, per ricollocare sulla Statua del Nilo quella testa di Sfinge che dall’epoca della Roma imperiale accompagnava il dio fluviale, icona della Partenope che fu. Trafugato da ignoti in una notte della fine degli anni ‘50, il simbolo del faraone così come misteriosamente era scomparso così misteriosamente è ricomparso l’anno scorso in Austria e recuperato dai carabinieri del nucleo Beni Culturali nella casa di un collezionista privato, che l’aveva acquistato in modo assolutamente lecito e in buona fede (per quanto possa esserlo il commercio di beni illecitamente sottratti). A testimoniare la sua assenza sul celeberrimo complesso marmoreo, chiamato ‘O Cuorpo ‘e Napule, due perni di ferro mozzi. Un’assenza che per i napoletani è stata un po’ come una ferita insanabile. Ora che la testa può tornare al proprio posto, nella piazzetta omonima, al limite del decumano inferiore del tracciato greco-romano, il cerchio si chiude. In un centro storico imbracato da transenne di ferro che combatte contro il degrado, i pericoli strutturali e l’inciviltà di certi cittadini c’è, almeno, una buona notizia: Napoli potrà tornare nuovamente ad ammirare in tutto il suo splendore un pezzo così importante della sua storia.

Perché ogni statua in fondo racconta una parte di una storia più grande. E la storia della Statua del Nilo si lega indissolubilmente a quella della città che la ospita. Una città di mare cosmopolita per natura e per vocazione, crocevia di popoli e culture diverse che ne hanno plasmato nei secoli la fisionomia. A Napoli ogni singola strada, ogni singola piazza, ogni singola pietra è testimone di un passato millenario. E il “Nilo giacente” ci porta indietro nel tempo, fino all’epoca romana, quando nativi di Alessandria d’Egitto si stabilirono in quella zona della città ed eressero, tra il II e il III secolo d.C., un grande complesso marmoreo a celebrare la divinità fluviale della loro terra d’origine lontana. La statua raffigura la personificazione del fiume Nilo che ha le sembianze di un uomo possente e barbuto semisdraiato su un fianco, circondato da puttini a simboleggiare le varie ramificazioni del fiume; nella mano destra sorregge una cornucopia traboccante di fiori e frutta, simbolo di prosperità e ricchezza, quello sinistro tocca una sfinge finora mutila della testa; i piedi su un coccodrillo senza coda.

Della statua se ne persero le tracce subito dopo il crollo dell’Impero Romano; quando nel 1476 riemerse dal sottosuolo acefala, fu erroneamente interpretata come l’immagine di una figura femminile, una madre che allatta al seno i suoi figli, quasi a simboleggiare la città generosa che nutre e rende prospera la propria gente. Da qui il toponimo “Corpo di Napoli”, dato alla statua e al largo dove tutt’ora si trova. Senza testa rimase per almeno un altro secondo, fino a quando, nel ‘600, lo scultore Bartolomeo Mori aggiunse a quel collo monco una testa barbuta, restituendole l’originale connotazione. Allo stesso periodo risale anche l’epigrafe latina posta sul basamento, che spiega le tormentate peripezie della statua. Malgrado tutto, oggi la statua è ancora lì, nel luogo originario, dove la vollero gli Alessandrini circa duemila anni fa, a testimonianza della loro presenza, ma anche delle radici dei napoletani che quando passano nelle vicinanze non possono fare a meno di gettare uno sguardo al dio Nilo e l’altro al dio del calcio, il “Pibe de oro”, la “mano de Dios”, Diego Armando Maradona, a cui la fantasia partenopea ha dedicato un’edicoletta votiva con tanto di reliquia, proprio dirimpetto alla statua.

Perché nel cuore dei napoletani c’è posto per tutti, sacro, profano e pure l’artistico. Come testimonia la campagna di raccolta fondi organizzata dal Comitato per il Restauro della Statua, su iniziativa dell’avvocato Carmine Masucci, amministratore del Complesso monumentale di Cappella Sansevero. Attraverso piccole donazioni, oltre 2200 hanno partecipato all’iniziativa: molti cittadini, ma anche turisti stranieri e viaggiatori italiani che ogni giorno restano incantati dalle bellezze senza tempo del centro antico di Napoli, patrimonio mondiale dell’Unesco. Due mesi per completare i lavori di restauro e per restituire alla città quello che non è solo un patrimonio monumentale ma anche, e forse soprattutto, di civiltà. La Statua del Nilo, costruita dagli alessandrini secoli orsono, ingiuriata dai vandali, è ancora lì, fiera e maestosa, testimone silenziosa di un passato che abbiamo il dovere morale e materiale di conservare.
[Credit Photo Cover: Sean Long/Flickr]