Un’estate bollente e grondante momenti di gloria quella che Marco Pantani vive nel 1998: il Giro e il Tour sono suoi, il terzo millennio è alle porte e pochissimi sportivi, in quel momento, godono in Italia del rispetto e dell’ammirazione a lui dedicati. Poi, dato che quando vuole la vita sa essere un romanzo horror da quattro soldi, esattamente l’anno dopo il Pirata verrà incastrato a Madonna di Campiglio ed è lì, di fatto, che si chiude la sua carriera da fuoriclasse della sella, oltreché la sua vita. Pantani, con la sua bandana e gli infiniti duelli prima con Pavel Tonkov poi con Jan Ulrich, resterà però scolpito quale simbolo della lunga estate calda del 1998.

Un’estate le cui notti sono scandite dal Mondiale francese, colorato e spettacolare, che vedono gli italiani divisi dal tormentone Baggio o Del Piero e il povero Cesare Maldini sul punto di far lo sgambetto ai padroni di casa, fermato da un incrocio dei pali sfiorato dal Divin Codino e dalla traversa di Gigi Di Biagio. Musicalmente parlando, trainato dalla Coppa del Mondo, il personaggio dell’estate è un 26enne portoricano che all’anagrafe fa Enrique Martín Morales, ma che milioni di assatanati fan conoscono come Ricky Martin. La bella stagione è anticipata però da un inverno glaciale come un iceberg, come l’emblema di Titanic, assoluto trionfatore della Notte degli Oscar del 23 marzo, un record di statuette (11) che farà eguagliare al kolossal di James Cameron l’exploit di Ben-Hur di 38 anni prima. Soprattutto, l’iceberg come simbolo dell’amore spezzato di Kate Winslet e Leonardo DiCaprio (ma come dice Celine Dion, My heart will go on), che da giovane promessa del piccolo schermo (Genitori in blue jeans) diventa incontrastato teen idol, prendendosi le copertine di Cioè e i diari delle liceali di mezzo mondo.

Credits: Janusz Kaminski ('Salvate il soldato Ryan', di Steven Spielberg)
Credits: Janusz Kaminski (‘Salvate il soldato Ryan’, di Steven Spielberg)

Nell’estate calda che vede due pesantissimi addii, quelli di Akira Kurosawa e del nostro Lucio Battisti, anticipati in un giorno di metà maggio da quello di The Voice Frank Sinatra, Hollywood gioca il carico: le sale statunitensi, tra giugno e agosto vengono invase da un classico Disney (Mulan), l’epocale commedia demenziale dei fratelli Farrelly (Tutti pazzi per Mary) e Salvate il soldato Ryan di Spielberg, miglior war-movie degli anni ’90 insieme a La sottile linea rossa, il ritorno sulle scene del redivivo Terrence Malick, vent’anni dopo il flop-capolavoro I cancelli del cielo. E proprio nell’anno in cui due venticinquenni studenti di Stanford, Larry Page e Sergey Brin, fondano il progetto Google Inc., Peter Weir anticipa i tempi giocando al Grande Fratello con Jim Carrey: il risultato è The Truman Show, uno dei film più interessanti del 1998.

C’è però un genere che più degli altri sbanca letteralmente i botteghini, il catastrofico. Un po’ per l’avvicinarsi della fine del millennio (poco dopo si svilupperà la mania del Millennium Bug), un po’ per colpa di Roland Emmerich, tedesco trapiantato a Hollywood che nel ’96 fece da capofila con Independence Day, le bombe al box-office sono Deep Impact (di una donna, Mimi Leder), Armageddon e Godzilla, dello stesso Emmerich. A far da contraltare al dominio del catastrofico è il cinema d’autore, che si presenta con l’abito buono: se i fratelli Coen firmano il loro film più cult, il citatissimo Grande Lebowski, è la pelata nazi di Edward Norton in American History X a sconvolgere la platea. Così come sorprendono Rushmore, opera seconda del non ancora trentenne Wes Anderson, e Velvet Goldmine, con uno straordinario Jonathan Rhys-Meyers, la cui stella si eclisserà troppo presto.

Credits: Tony Kaye (Edward Norton in 'American History X')
Credits: Tony Kaye (Edward Norton in ‘American History X’)

E tra il bardo innamorato di Shakespeare in Love, il Gatto nero gatto bianco dello zingaro Kusturica e l’accoppiata Spike Lee-Denzel Washington di He got game, si fa largo anche il nostro cinema: c’è l’esordio alla regia di Luciano Ligabue, col suggestivo Radiofreccia, c’è l’apocalisse grottesca di Marco Risi de L’ultimo capodanno e c’è la trasposizione di Tornatore di un romanzo di Baricco (da Novecento a La leggenda del pianista sull’oceano). Ci sono soprattutto i due capolavori dell’anno made in Italy: Gianni Amelio firma l’epopea dei meridionali nel mitico Nord del secondo dopoguerra (Così ridevano) e Nanni Moretti si mette praticamente a nudo raccontando il suo tormentato ed esaltante Aprile, dal primo successo di Berlusconi alla sequenza in cui fa a pezzi lo Strange Days di Kathryn Bigelow. Ai più giovani però inizia a interessare meno del cinema: non solo per le ore passate davanti alla moviola (il fallo di Iuliano su Ronaldo, sembra ieri), ma soprattutto per quelle trascorse in compagnia di una serie, Dawson’s Creek, che nella sua ingenuità rappresentò alla perfezione il passaggio dal telefilm alla serie tv, dando perciò il via a una rivoluzione epocale.

[FOTO COVER: Luigi Di Biagio si dispera dopo aver sbagliato il rigore contro la Francia ai Mondiali del 1998]