Il 2006, sopratutto il nostro 2006, può tranquillamente essere definito come un anno surreale. In quell’anno, che per la verità si apre con nevicate record al nord, il caldo vero inizia già in primavera: un ex comunista diventa per la prima volta Presidente della Repubblica, mentre Berlusconi perde le elezioni di aprile, vinte dall’Unione di Romano Prodi (che tuttavia avrà vita breve). Soprattutto, in un giorno di maggio tutti i notiziari, sportivi e non, iniziano a martellarci di termini e nomi già noti, ma destinati a rimanere scolpiti nelle nostre memorie per altre ragioni: la Cupola, Guido Rossi, Moggi. In una parola, Calciopoli. Lo scandalo che coglie con le mani nella marmellata i potenti del nostro calcio porterà per la prima volta la Juventus in Serie B e farà disamorare del pallone che rotola un numero sempre crescente di tifosi, alcuni tra i quali non metteranno più piede in uno stadio.

La parte surreale però deve ancora venire: perché a due mesi di distanza dallo scandalo, la Nazionale Italiana, more solito abbandonata e criticata, sbalordisce il mondo intero (noi in primis), andando a vincere il Mondiale proprio sotto il naso dei tedeschi, nella notte di Berlino, a discapito delle bestie nere francesi. L’exploit mondiale, che nei mesi successivi sarà rivissuto in loop grazie al memorabile commento di Fabio Caressa postato sul neonato Youtube, sarà il miele che renderà sopportabile il puro marcio dei giorni di Calciopoli. Un sovvertimento dei pronostici però lo avevamo già visto, seppur in maniera minore, a inizio anno, nella sfavillante notte degli Oscar di Los Angeles, dove Crash – Contatto fisico si era preso l’Oscar come miglior film, superando i favoriti Munich di Spielberg e I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee. È il preludio a un 2006 che, se in generale può essere definito surreale, al cinema si configura invece come vivace, nel senso migliore del termine.

"Le vite degli altri", di Michael Haneke (fotografia di Hagen Bogdanski)
“Le vite degli altri”, di Michael Haneke (fotografia di Hagen Bogdanski)

C’è davvero di tutto. Martin Scorsese adatta a Hollywood uno splendido action coreano, Infernal Affairs, e dà vita a The Departed: lo infarcisce di star (DiCaprio, Damon e l’ultimo grande Nicholson) e l’edizione successiva si prenderà, dopo 35 anni di carriera, la prima statuetta dall’Academy per la regia. Proprio agli Oscar 2007 ritroveremo diversi protagonisti della stagione precedente: Michael Haneke giganteggia con Le vite degli altri, versione cupa e machiavellica di Goodbye Lenin!, portandosi a casa il premio per il film straniero, mentre tra gli interpreti principali, la parte del leone la fanno due attori calati in contesti storici differenti. Helen Mirren trionfa infatti nel ruolo di Elisabetta II (The Queen, di Stephen Frears), mentre Forest Whitaker non ha eguali nei panni di Idi Amin Dada, sanguinario dittatore ugandese degli anni ’70, fotografato ne L’ultimo Re di Scozia da Kevin Macdonald. Proprio nell’anno, il 2006, in cui lasciano questa vita tre personaggetti niente male come Slobodan Milošević, Augusto Pinochet e Saddam Hussein, quest’ultimo condannato all’impiccagione da un tribunale speciale iracheno, formatosi dopo la sua caduta.

"L'ultimo Re di Scozia", di Kevin Macdonald (fotografia di Anthony Dod Mantle)
“L’ultimo Re di Scozia”, di Kevin Macdonald (fotografia di Anthony Dod Mantle)

Fra trascurabili operazioni acchiappasoldi come Il codice Da Vinci (un Tom Hanks così non glielo perdoneremo mai), sequel serenamente dimenticabili (Pirati dei Caraibi, Rocky Balboa, Mission Impossbile III, Saw III, X-Men – Conflitto finale), spiccano diverse perle. C’è il delizioso Little Miss Sunshine (Oscar per la sceneggiatura originale a Michael Arndt); c’è la magia di The Prestige di Christopher Nolan, imitata poco dopo in maniera meno felice da The illusionist; c’è Offside, dell’iraniano Jafar Panahi, in cui una ragazza amante del calcio deve travestirsi da uomo per andare allo stadio; c’è la meravigliosa doppietta patriottica di Clint Eastwood (Flags of our fathers e Lettere da Iwo Jima) e c’è anche il circolo dei latini, in splendida forma: Iñárritu esce con Babel, Almodóvar con Volver (con una memorabile Penelope Cruz) e Guillermo del Toro con Il labirinto del fauno. Si distingue poi un film presentato al Festival di Roma del 2006 ma giunto nelle nostre sale solo cinque anni dopo, che racconta la disorientata Inghilterra thatcheriana dei primi anni ’80 tramite gli occhi di un ragazzino entrato a contatto col mondo degli skinhead (le teste rasate): nonostante l’accidentata distribuzione, This is England diventerà un imperdibile cult.

Lo definivamo vivace questo 2006 cinematografico, che non ci fa mancare proprio nulla: nemmeno una manciata di pessimi horror (Pulse, Shrooms, Stay Alive sul podio del peggio) e la solita vagonata di opere d’animazione. Ci sono il sequel dell’Era Glaciale, la nuova scommessa Pixar (Cars – Motori ruggenti), Monster House ed Happy Feet, che poi vincerà l’Oscar. Tuttavia, i capolavori – come spesso accade per questo genere – vengono dal Giappone: uno è Paprika – Sognando un sogno, che non è un reboot del film di Tinto Brass con Debora Caprioglio ma l’ultimo stupendo film di Satoshi Kon; l’altro è La ragazza che saltava nel tempo, di Mamoru Hosoda.

"Nuovomondo", di Emanuele Crialese (fotografia di Agnès Godard)
“Nuovomondo”, di Emanuele Crialese (fotografia di Agnès Godard)

Nell’anno in cui si fanno strada le prime avvisaglie di quella che ancora oggi sentiamo chiamare crisi, anche il cinema italiano risente della vivacità generale. Oltre al Muccino americano de La ricerca della felicità, escono i pezzi grossi: come il ritrovato Tornatore (La sconosciuta), il sempre convincente Sorrentino (L’amico di famiglia non è Le conseguenze dell’amore ma rimane un ottimo prodotto) e soprattutto il Crialese di Nuovomondo. Una fiaba (ancora oggi troppo poco considerata) sull’esodo novecentesco nel nuovo continente, con un meraviglioso finale onirico, in cui l’acqua dell’Oceano diventa latte.