La riconosco quella sicurezza, Andrea Pirlo. È quella dei grandi campioni, di quelli che non è che li trovi spesso, in giro. No, nemmeno ai Mondiali. Perché di gente come te, ai Mondiali, ne è passata una ventina, mica tanti di più. L’elenco evito di fartelo, tanto lo già lo conosci. E poi ognuno è libero di dire che uno come Crujiff, Pitagora con le scarpe da calcio, avrebbe meritato di vincere tutto e invece no, non è andata così, ma questo non cambia il senso delle cose.
Tu hai già vinto una volta Andrea. Te lo ricordi quel Mondiale? Aperto con un gol così simile a quello di Marchisio contro l’Inghilterra da farci venire un dubbio: e se fosse ancora una volta l’anno buono? Del 2006 ricordo tre cose di te: di quel gol nella prima partita abbiamo già parlato. Il secondo ricordo è un passaggio di quelli che non te li dimentichi per tutta la vita. No look a cercare il compagno smarcato. Sì, peccato che siamo al 120′ minuto di una semifinale Mondiale. Quando tutti sono stanchi e i piedi non fanno ciò che dice la testa. Sì, quelli degli altri. C’è Pirlo, c’è Pirlo – grida Caressa. Perché tu invece sei capace di inventare un corridoio e vedere un’autostrada dove gli altri vedono solo un sentiero. Poi spunta Grosso e riscrive il destino. Non ci credo, urla. E tu gli corri dietro, incredulo, come tutti noi.
Il terzo ricordo non è legato ad un gesto tecnico. Siamo ai rigori della finale dei Mondiali contro la Francia. Due bambini si abbracciano, e lo senti il loro cuore che batte. Provano speranza, paura, sognano ad occhi aperti. Quei due bambini si chiamano Andrea Pirlo e Fabio Cannavaro. Pirlo ha gli occhi lucidi, non stacca le sue braccia dal collo del suo capitano. I suoi occhi sono persi nel vuoto, fino al rigore di Grosso. Quando vede il pallone in rete inizia la sua corsa. È felice, incredulo, è campione del mondo. Si ricorda di quella volta che all’Inter gli dissero che non era adatto a fare il regista. Che nel suo ruolo c’erano troppi giocatori e che poteva andare. Ma lui, Pirlo, non sa cosa siano le polemiche. Il pensiero l’avrà sfiorato per un secondo, poi è tutta gioia, e abbracci al capitano.
Quel capitano, due mondiali e otto anni dopo, sei tu, in assenza di Buffon. Questa barba ti fa più saggio: nel 2006 non ce l’avevi, proprio come me. Anche io sono del ’79 Andrea. Anche io so che, alla nostra età si è tutt’altro che finiti, anzi ti dirò di più. Ti dirò che io forte come adesso non ti ho visto mai. Vedendoti giocare l’altra sera ho capito che forse non vinceremo il Mondiale, ma possiamo davvero arrivare lontano. Perché pochi giocatori in questa manifestazione possono essere decisivi come lo sei tu oggi. Per come prendi in mano la squadra, per come senti la nazionale, per le tue punizioni, i tuoi lanci, i tuoi movimenti. Perché nel 2006 eri un grandissimo giocatore ma oggi, a 35 anni, sei un campione di quelli che resterà nella storia del calcio. Prendici per mano Andrea, questo è il tuo mondiale.
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