Testa bassa, sguardo fisso sullo schermo, attenzione completamente catturata dal mondo dentro lo smartphone, in grado di influenzare umori, rapporti, decisioni. Così si presentano alla realtà ragazzini, giovani adulti e quelli che adulti sono già da un po’. Delle monadi assorbite dal loro secondo “io”, quello costruito sui social e lanciato nell’insidioso mare del web. Un mare sempre più oggetto di critiche, in alcuni casi sottovalutato e purtroppo ancora non navigato con attenzione e consapevolezza.
I minori sono i più vulnerabili
Chi non ha nei ricordi di scuola, chiara e limpida la figura del bullo della classe, che si divertiva a far impazzire coetanei e docenti? Tutti hanno conosciuto, da spettatori, vittime o artefici, il fenomeno del bullismo, in tutta la sua mostruosità.
È nel momento della crescita, quello della definizione della propria personalità, infatti, che si delineano le tendenze e i meccanismi della comunicazione con gli altri e con sé. Problemi di peso, vestiti fuori moda, interessi diversi e, purtroppo, molto altro di quello che non si omologa al gruppo, diventano un disagio, il fulcro attorno al quale vengono focalizzati pensieri negativi e stati d’animo non salutari, sfocianti in una depressione quasi patologica.
Nei nostri ricordi però, c’è anche quello che bastava per estirpare questi fenomeni: una strigliata del preside o del docente, mobilitata da genitori preoccupati, nella maggior parte dei casi, risultava efficace al fine della redenzione e del cambiamento.
La logica del branco
Con il cyberbullismo, l’“evoluzione” virtuale del bullismo, non ci sono più segnali, tutto è nascosto nella stessa misura in cui sono accentuati i meccanismi alla base degli spiacevoli episodi da sempre noti nelle scuole. L’anonimato e la difficile reperibilità, offerta dai dispositivi in uso, hanno come conseguenze la spersonalizzazione del soggetto e la riduzione dei freni inibitori che, normalmente, si andrebbero a innescare nella vita reale. Un’assenza che rende forti e protetti da altri gregari anonimi, enfatizzando quella logica di branco, completa di maschio alfa alla continua ricerca della conferma del suo status di superiorità. Ad ogni costo.
Ed è proprio sull’“io contro tutti” che si perpetra questa tipologia, silenziosa e viscida, di violenza, resa perenne dal fatto di non avere limiti spazio-temporali. Non si può correre a casa a ripararsi dal molestatore, perché il molestatore è nelle mani della vittima, è dentro quell’oggetto di cui, oggi, non si può fare a meno.
In Italia
Carolina, presa di mira su Facebook da un gruppo di coetanei. Andrea, il quindicenne gay di Roma, oggetto di scherno per i suoi pantaloni rosa. Nadia, la quattordicenne di Cittadella violentata verbalmente su Ask.fm. Questi solo alcuni dei nomi protagonisti di esperienze tristi e di epiloghi ancor più drammatici.
Flaming, molestie, denigrazione, sostituzione di persona, inganno, esclusione, cyberstalking: queste solo alcune delle forme di bullismo a cui si è esposti sul web, annientabili solo con la forza, la consapevolezza e la comunicazione.
Ma, come afferma la giornalista Mariangela Galatea Vaglio, non bisogna perdere di vista il vero problema: il bullismo attuato nella realtà, quello fisico, tangibile. “Il panico può spingere genitori ed insegnati a sopravvalutare la portata di alcuni fenomeni, con il risultato di dare loro troppo risalto e finire col far percepire ai ragazzini una immagine distorta della rete. Se io a scuola faccio lezioni in cui dipingo internet come “il male”, un posto frequentato da pedofili e bulli di ogni genere, rischio due tipi di ricadute: che i ragazzini più timidi saranno così spaventati da non riuscire più ad usare la rete con fiducia, e che invece gli altri, quelli che non sono cattivi, ma hanno una certa curiosità per la trasgressione, immagineranno che la rete sia già zeppa di persone che “fanno il male”, per cui sia normale, sulla rete, farlo”.
Ragazzi soli e genitori inesperti
La cultura digitale è una risorsa, un’opportunità indispensabile ai giorni nostri. Tutto è telematico, tutto è completamente immerso nel mondo virtuale . Si è collegati in ogni momento con esso.
E la nuova impostazione di ogni cosa, non fa che sottolineare il gap generazionale tra genitori, poco esperti ed estranei agli aspetti positivi e negativi della rete e dei social, e i figli, curiosi ma impreparati alle insidie che questi riservano.
Si minimizza ogni disagio, solo perché non ha la forma di un livido o di un maglione strappato. È un disagio che va letto negli occhi, in quello che non si dice. E non sarà niente in confronto al mutuo, all’assicurazione o alla bolletta della luce. Ma per un figlio sarà equiparabile ai problemi di un adulto. Perché ogni età ha i suoi scogli da superare.
Per questo bisogna essere attenti, o meglio, vigili. Bisogna essere presenti senza essere pressanti. Bisogna essere spettatori attivi, guide, dispensatori di principi e di consigli, durante la crescita della propria creatura.
E chissà, forse crescerà un branco che vorrà combatterla la violenza, in ogni sua forma.