Da quanto tempo si parla di crisi del giornalismo? In Italia forse da sempre. Nel resto del mondo da quasi due decenni. Periodicamente all’interno del mondo dell’editoria si cerca di capire quali siano le cause che stanno portando al lento declino di un mestiere così importante. Le colpe, se così vogliamo definirle, sono molteplici ma in molti puntano il dito contro il calo degli introiti pubblicitari e delle vendite e soprattutto contro un canale che ha rivoluzionato il nostro modo di vivere negli ultimi 15 anni: il web.

Quando internet iniziò a diffondersi in tutta la sua potenza di fuoco a cavallo dei due secoli i gruppi editoriali capirono che quello strumento, utilissimo per la rapida diffusione delle notizie, per le comunicazioni flash e per la ricerca di nuove fonti, poteva segnare l’addio a un certo modo di fare giornalismo. E anche a una grossa fetta di profitti.

Che il giornalismo sia cambiato notevolmente negli ultimi 20 anni è un dato di fatto. I giornali cartacei hanno dovuto ‘metter su’ la loro corrispettiva versione on line in cui all’inizio si davano le notizie con pochi particolari rimandando i lettori ad approfondire sull’edizione cartacea. Il risultato era il 99% delle volte uno solo: andare su un altro sito per avere più dettagli.
Oggi le versioni on line dei siti di informazione sono molto più ricche di contenuti rispetto solo a quattro o cinque anni fa e soltanto pochissimi autorevoli quotidiani o settimanali puntano ancora sulla carta degli abbonamenti su tablet, con risultati, per altro, non proprio esaltanti.

Il giornalismo in Italia, in particolare quello cartaceo, non ha mai fatto breccia nei cuori degli abitanti dello stivale. Non a caso le edicole non hanno mai fatto affari d’oro con la vendita dei giornali e ogni anno lamentano un calo delle vendite dei quotidiani. Nel grafico qui sotto potete vedere il crollo delle vendite medie giornaliere dei quotidiani in Italia dal 1995 al 2013.
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Va detto che il prezzo del quotidiano non è il principale strumento di finanziamento di un giornale. Se un quotidiano, un settimanale, un bimestrale, un mensile possono permettersi di continuare a pubblicare lo devono soprattutto a due fattori essenziali: la pubblicità e i finanziamenti dello Stato all’editoria.
In Italia la pubblicità è in calo da diversi anni, in particolare dall’anno successivo alla grande crisi che ha colpito gli Stati Uniti. I dati diffusi dall’AgCom alcuni giorni fa non lasciano adito a dubbi. Secondo la relazione annuale dell’AgCom, in cui c’è un ampio capitolo legato all’editoria italiana, i dati relativi alla ripartizione dei ricavi da pubblicità non dovrebbero far dormire nessun editore.
Ecco alcuni esempi concreti per comprendere con facilità il crollo dei ricavi da pubblicità. Nel 2009 la pubblicità portava ai quotidiani italiani la bellezza di 1,5 miliardi di euro. Nel 2013 poco meno di 1 miliardo, cioè più di un terzo di entrate in meno dalla pubblicità. Anche il paragone 2012-2013 è devastante: -13,2% di introiti da pubblicità.
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Nel raffronto sugli ultimi 5 anni l’unica voce con un trend positivo è quella relativa a internet. Ma il confronto fra 2013 e 2012 è in negativo, segnale di una piccola ma chiara inversione di tendenza negli investimenti pubblicitari anche nel web.

Dati del genere portano, ovviamente a una crisi interna del mercato del lavoro. Non a caso, ormai da qualche anno, diventa sempre più difficile entrare nel mondo del giornalismo. Spesso le porte sono chiuse anche per coloro che vogliono regalare alle testate giornalistiche giornate, settimane, a volte mesi senza avere nulla in cambio. Ma la crisi sta avvilendo non solo le speranze di tanti giovani ma anche le certezze di molti giornalisti che fino a un decennio fa erano certi del proprio ruolo ma che non sono riusciti ad adeguarsi alle evoluzioni del mestiere.
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Nelle ultime settimane, nel mondo dei giornalisti si è accesa la discussione sulla questione dell’equo compenso. Un tema che andrebbe approfondito in un altro eventuale pezzo ma che sottolinea la precarietà della professione del collaboratore.
A chiudere il cerchio di questo quadro a tinte fosche per i giornalisti o gli aspiranti tali c’è poi una singolare ricerca di Career Cast secondo cui il mestiere di giornalista è in via di estinzione.
Secondo il rapporto di questa organizzazione il lavoro da giornalista è nella ‘top ten’ dei peggiori mestieri del 2014. Per la precisione, secondo Career Cast, è al secondo posto fra i peggiori mestieri del 2014, preceduto in questa poco invidibile graduatoria solo dai taglialegna. Per Career Cast da qui al 2022 ci sarà un calo delle assunzioni di giornalisti del 13% in tutto il mondo, segnale di un lavoro a rischio estinzione. Altro che dinosauri!