Arrivato in estate a parametro zero, in punta di piedi, senza far scalpore, perchè forse di lui ingiustamente si parlava ormai poco. Al Paris Saint Germain non giocava quasi mai, e quando scendeva in campo, era sempre per qualche spezzone di partita o poco più. Difficile emergere in quel “contenitore” di campioni e mostri sacri ormai già pienamente affermati. Lui invece a 27 anni, doveva ancora dimostrare tutto il suo talento. Un’eterna promessa, un giocatore discontinuo e con un bel caratterino, i tifosi del Milan erano scettici ma si son dovuti ricredere. Jeremy Menez doveva cambiare aria, tornare in Italia e trovare la fiducia di un allenatore come Filippo Inzaghi che non può fare a meno di lui. Se Inzaghi è ancora sulla panchina del Milan, nonostante i risultati non ottimi, la maggior parte del merito è proprio di Menez.

Sono 12 le marcature stagionali del francese, 6 dal dischetto del calcio di rigore, da dove si è è dimostrato un cecchino infallibile. Un vero e proprio trascinatore, ridisegnato da Inzaghi nell’insolito ruolo di falso nueve, capace di oscurare l’acquisto di punta del mercato estivo milanista, Fernando Torres. Dodici marcature come Higuain, una sola in meno del miglior marcatore della Serie A, Carlitos Tevez, alle spalle ad 11 marcature si mette Icardi e Dybala. Un francese e quattro argentini, no, non è una barzelletta, è solo la classifica marcatori di questo campionato italiano.

Difficile decifrarlo in campo, svaria da una parte all’altra del terreno di gioco, non ha una vera e propria collocazione, sembra ovunque nell’arco della partita. Gioca a calcio come ha sempre vissuto: d’istinto. Proprio così, perchè la vita di Menez non è mai stata facile e gloriosa come lo è oggi. Jeremy nasce in una delle periferie più complicate di Parigi, dalla Banlieu 94, ed è li che sbucciandosi ginocchia, e compiendo qualche bravata di troppo è diventato calciatore ma soprattutto uomo. Menez è consapevole di essere fortunato, e in un’intervista rilasciata qualche mese fa alla Gazzetta dello Sport, il francese dichiarò: “Forse, e sottolineo il forse perché come fai a dirlo, se non avessi avuto il calcio sarei finito in galera. Del resto, ci sono finiti un sacco di miei amici: furti, droga, quelle cose lì, che ci caschi se sei giovane, vorresti tutto ma i soldi sono pochi. Ho continuato a sentirli anche quando erano dentro – i telefonini entrano pure in carcere, certo – e ogni volta era come rendersi conto di quanto sottile sia il filo che divide una vita felice da una vita buttata via, o comunque rovinata”.

Jeremy ha avuto la fortuna di lasciare il quartiere per trasferirsi a Sochaux, all’età di 13 anni, un’età particolare, complicata, in cui si possono iniziare a fare le stupidaggini più grosse in un quartiere di periferia. Il Sochaux lo ha in un certo qual modo salvato dalla vita di strada, tesserandolo alla tenera età di 9 anni. È li che muove i primi passi da calciatore, è lì che a 16 anni una chiamata da Manchester arriva sul suo telefonino: “Pronto sono Sir Alex…”. In pochi avrebbero detto di no, Menez fu uno uno di quei pochi. Un rifiuto a Ferguson, uno che avrebbe potuto insegnargli tanto e fargli vincere tanto. Ma non si sentiva pronto Menez, e di questa scelta non si è mai pentito. Nel 2006 decide di passare al Monaco, dove si dimostra un gran talento e attira l’attenzione di vari club.

A spuntarla fra tutti è la Roma nell’estate del 2008, per una cifra vicina ai 12 milioni di euro. È il momento giusto per lasciare il suo paese natale e tentare fortuna altrove, in Italia, in una squadra di grandi ambizioni e in una città tra le più belle del mondo. Menez ha 21 anni, e il numero 94 sulle spalle, quello delle Banlieu da dove proviene. Non dimentica le origini, tant’è che ai ragazzi che vivono lì ha voluto regalare un vero campo da calcio a 7. A Roma però non riesce a sfondare. Troppo discontinuo, e allora decide di tornare in Francia, al Psg guidato ora dagli sceicchi, una squadra che nel giro di pochi anni vuole diventare grande, e così sarà. Ritorniamo così, in modo abbastanza repentino ad oggi, al Milan, ai suoi 12 goal, perché forse la parentesi Psg è meglio dimenticarla.

Menez è l’anti social. Non ama i social network, non scrive mai su Facebook, Twitter o Instagram. Preferisce essere diretto, non comunicare attraverso internet. La strada gli ha insegnato anche questo. Per lui i social network rappresentano solo un modo per farsi amare di più dalla gente. Menez preferisce invece far innamorare per quello che fa con il pallone tra i piedi, e non per quello che scrive. A Milano se ne sono accorti, e ora da quelle parti parlano tutti una sola lingua: il francese.