La cucina si fa sempre più appetitosa, stando ai dati che vengono dagli Istituti alberghieri: negli ultimi cinque anni le iscrizioni sono aumentate tanto da fare balzare l’alberghiero al terzo posto delle preferenze degli studenti, dopo scientifico e linguistico.
Tutto merito della televisione? I programmi di food ci hanno messo lo zampino, ma più in generale è la maggiore attenzione che ha rivoluzionato il mondo del cibo ad aver dato nuova luce alla professione dello chef. E così anche quei genitori, che fino a qualche anno fa non vedevano di buon occhio che il proprio figlio scegliesse questa strada, hanno compreso che stare ai fornelli oltre ad essere una bella passione può trasformarsi in un lavoro di tutto rispetto.
Creatività quanto basta, un’innata propensione e tanto studio sono gli “ingredienti” speciali di una professione che è diventata tra le più ambite del momento.
Dopo la scuola c’è chi si iscrive all’Università di scienze gastronomiche o ancora chi segue le scuole di grandi maestri, quali Gualtiero Marchesi, Niko Romito e Carlo Cracco, ad esempio. I risultati non si fanno attendere, e il panorama del food italiano già conta molti nomi interessanti che iniziano a far parlare di sé per la loro cucina.
Tra questi c’é sicuramente Davide Del Duca: trentatré anni, romano, da poco ha aperto un bistrot tutto suo nel centro della Capitale, “Osteria Fernanda”.
Dopo essersi aggiudicato il Premio Birra Moretti nel 2014 con la ricetta la birra con il cappelletto “per avere espresso il massimo equilibrio fra la proposta del piatto salato e quella del piatto dolce” Davide ha collezionato tante soddisfazioni, senza mai perdere il contatto con la realtà.
Con orgoglio si definisce cuoco, rimarcando con forza le sue origini: la cucina di Davide guarda alla modernità senza dimenticare la tradizione, come ha raccontato in quest’intervista per Il Giornale Digitale.
Davide Del Duca, sei considerato tra gli chef più promettenti del momento e di recente hai vinto il Premio Moretti. In poche parole, come ti descriveresti e come vivi questi riconoscimenti?
I premi e i riconoscimenti raggiunti in questi mesi mi lusingano e mi danno motivazione per portare avanti il mio lavoro nel migliore dei modi, con il mio team e con il mio socio/sommelier Andrea Marini. Detto ciò, ogni traguardo deve fungere da nuovo punto di partenza, per crescere e dare il massimo: io sono un perfezionista, anche se amo la cucina tradizionale, i miei piatti devono esprimere sempre equilibrio e coerenza nei sapori prima di entrare in carta. Per questo cerco sempre di migliorarmi e di perfezionare il mio stile e la mia cucina. Se dovessi descrivere ora il mio profilo nella “Nuova Fernanda”, mi sento decisamente più libero di esternare la mia creatività, con mezzi e staff adeguato. Ai fornelli sono materico e viscerale, scarico il mio carisma e la mia passione, così come nel selezionare i prodotti per i miei piatti.

Chef a tutti gli effetti, hai studiato all’alberghiero per poi, giovanissimo, iniziare a collaborare con importanti ristoranti romani.
Come ti sei avvicinato alla cucina? Quanto conta secondo te lo studio e quanto la propensione naturale per riuscire in questo mestiere?
Sicuramente l’imprinting familiare, nel mio caso avvenuto in una terra florida a livello gastronomico come la Ciociaria, è fondamentale per alimentare passione, gusto e palato. Ho sempre amato il contatto con la terra, con i suoi prodotti e con la loro consequenziale trasformazione in cucina. Le esperienze di “gavetta” comunque rimangono le più importanti del complesso percorso per diventare cuoco, a patto che vi sia sempre attitudine, curiosità e voglia costante di mettersi in gioco: anche con il rischio di sbagliare.
Attualmente ti troviamo nel centro della capitale, all’Osteria Fernanda. Qui sei tra i soci, nonché padrone di casa e chef. Com’è la cucina che proponi ai tuoi clienti?
Attualmente la mia cucina affonda le radici profondamente nelle mie esperienze, nei piatti della tradizione e nel mio vissuto quotidiano: successivamente rielaboro gli ingredienti e le nozioni raccolte in una veste creativa e moderna, ricca di contrasti calibrati che attingono anche a spunti internazionali. Cosa fondamentale però è che non manchi mai il gusto come caratteristica portante.
Esprimi una cucina locale molto forte, quella romana: come riesci a far convivere la tradizione del territorio con la modernità che richiede il food?
Tradizione e innovazione in realtà non sono così distanti: senza delle buone basi tradizionali non esisterebbe l’avanguardia e non ci sarebbe modo di sperimentare creando nuovi abbinamenti di sapore. Nel mio caso ogni piatto attinge ad un mio trascorso vitale, passato o recente, che prende slancio dai prodotti del mio territorio. In questo modo mi risulta molto più semplice costruire i miei piatti e dar vita ad una cucina moderna che guarda con eleganza alla tradizione.
Cracco, Cannavacciuolo, Barbieri: ci sono tanti nomi imporanti nel panorama food. C’è qualcuno a cui ti ispiri?
Tra gli chef celebri in televisione sicuramente la personalità più affine a me, a livello umano e professionale, è di certo Antonino Cannavacciuolo, con il quale ho interagito più volte nel corso degli eventi per Birra Moretti. Se devo menzionare un mio punto di riferimento assoluto tra i cuochi italiani, scelgo senza ombra di dubbio il cuciniere Salvatore Tassa del ristorante stellato “Colline Ciociare” di Acuto: uno chef di origini ciociare come me dall’esperienza e dal talento tecnico/creativo inarrivabile, per me.
Food Blogger e Chef sembrano essere due facce della stessa medaglia. In cosa sono diversi e in cosa si somigliano le due figure? C’è qualche food blogger che segui?
Mah, sinceramente non trovo nessun nesso tra un cuoco e un food blogger: il nostro è un lavoro duro, costante, fatto di sacrifici fisici e mentali, che prevede una ardua manovalanza e un continuo confronto con clienti e addetti al settore. I food bloggers attuali sono spesso persone appassionate, non sempre preparate, che si dilettano a cucinare in veste amatoriale e casalinga, spesso supportati da sponsor. Personalmente non seguo questo mondo ma sono molto più legato al giornalismo gastronomico di qualità.

Il 2016 è appena iniziato: che anno sarà a tema cibo? Quali saranno le tendenze principali?
Dopo il boom della cucina nordica e di quella spagnola e orientale, penso proprio che l’attenzione potrebbe spostarsi verso nuove nazioni “vergini” che investono molto in questo settore, come il Sud America che conta già diverse realtà di pregio a livello internazionale. Penso che anche il panorama di ristoranti londinesi possa regalare belle sorprese in questo 2016. Dal canto mio, come al solito tifo Italia.
Tra i tuoi piatti forti c’è l’amatriciana: ci sveli qualche piccolo segreto?
Tanto “manico” nella mantecatura per legare la pasta al condimento, un aceto balsamico invecchiato che non satura l’acidità e la freschezza del pomodoro e una dose generosa di pecorino calibrata al millimetro per non caricare la sapidità di un piatto già di carattere.
Facciamo un salto in avanti nel tempo: Davide Del Duca tra dieci anni come si immagina?
Mi immagino tra i fornelli con due figli a carico, in un ristorante ancora più confortevole per i miei clienti.