A volte nella vita di ognuno di noi capita che si chiudano dei capitoli, dei momenti anche abbastanza lunghi e che si debba subito entrare in una nuova fase. Ce lo impone l’età, ce lo chiedono le circostanze. Si finiscono le scuole superiori e nel giro di pochi mesi arriva l’università, poi si salutano i compagni universitari con una corona d’alloro in testa e ci si tuffa nella giungla degli stage. Trovi un lavoro, poi ti affezioni ai colleghi, ai posti che frequenti, alle solite persone che incontri per strada nel tragitto che ti porta da casa a lavoro e viceversa. Poi accade anche che quelle abitudini finiscano di colpo perchè, per un motivo o per un altro, quel capitolo, quella storia lavorativa, quelle abitudini arrivano al termine che coincide con quello del contratto lavorativo. E bisogna ripartire. Chi è fortunato ricomincia da un altro ambiente, da un altro lavoro, da una nuova avventura. Ma sono in tanti che restano al palo ed entrano ufficialmente nel mondo della disoccupazione. Oggi vi racconto l’odissea di chi ha il dovere e la premura di dichiarare di essere disoccupato.

Credits: italiadeivalori.it
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Chi entra all’interno di questo limbo deve andare a dichiararlo al mondo intero. Come? Recandosi presso un centro per l’impiego. Il nostro amico che si è svegliato da disoccupato ha il dovere di ‘denunciarlo’ e allora si alza dal letto, breve colazione, una rapida doccia e giù per strada. Per raggiungere il più vicino centro per l’impiego sono poco più di 7 km. ‘Google Maps’ gli dice che ci vogliono 16 minuti di macchina (forse con un’auto volante). Lui, però, non ha nessun ausilio motorizzato privato, controlla su internet e vede che gli servono ‘solo’ tre bus. I 16 minuti di auto diventano 90 con i mezzi pubblici garantiti dalla Capitale d’Italia. Una volta giunto all’ingresso del centro per l’impiego trova una marea umana e lì capisce di non essere affatto solo. Sale un paio di gradini, chiede il ‘numeretto’, gli indicano di andare avanti. Arriva davanti al portone ma non c’è nessuna macchinetta che eroga numeri automatici per prenotarsi. C’è un foglio, una penna e tanti piccoli fogli di carta. Avete capito bene. Il ‘numeretto’ è fai da te. Metti numero e nome sul foglio di carta, poi prendi un quadratino piccolo e scrivi il numero che hai messo prima sul foglio abbinato al tuo nome. E il gioco è fatto. Mancano quasi 150 numeri (persone) prima del suo turno. Poco male, trova un angolo al riparo dal sole e si mette al telefono. Un confronto con gli altri ex colleghi che sono nella stessa situazione, qualche chiacchierata sui social e il tempo vola. Pian piano la ‘coda’ si riduce e con essa il numero di tante persone come lui ma allo stesso tempo così diverse.
Credits: Tribunodelpopolo.com
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C’è il 50enne spaesato che raramente si era ritrovato in una situazione simile, il giovane che vorrebbe andare al mare anziché fare una sauna all’aperto per attendere il suo turno, c’è un gruppo di maestre agguerritissime, c’è l’operaio che fino a ieri lavorava in cantiere, c’è il personaggio che nonostante l’età pensa ancora a fare il ‘coattello’ e lo spavaldo davanti agli altri. Ci sono sguardi smarriti, spaventati, intristiti, agguerriti, speranzosi. Dopo quasi due ore arriva il suo turno. Il nostro amico entra nella stanza e trova gli impiegati: anche qui c’è in piccolo la rappresentazione dell’Italia. C’è il fannullone che si assenta sempre dall’ufficio, l’impiegata stressata che lavora per tre, quella che pensa: “Ma fra quanto se magna?” e chi accenna un mezzo sorriso. Non si può che andare da quest’ultima. L’amico espone con dovizia di particolari la propria storia. Ed è un racconto già sentito decine di volte dall’impiegata che ripete come un disco rotto i diritti e i doveri al nuovo disoccupato d’Italia. Nonostante lo status da ‘macchinetta’ l’impiegata del centro per l’impiego offre all’amico alcuni consigli e gli augura di ritrovare presto un nuovo lavoro per aprire un nuovo capitolo della propria vita.

Da lì il nuovo disoccupato si reca a un Caf o a un patronato per chiedere l’indennità di disoccupazione che oggi ha dei nomignoli strani: Aspi e Mini-Aspi. Il suo augurio è che presto l’erogazione di tale sostegno economico possa essere sospeso. Significherebbe la fine del capitolo della disoccupazione e l’inizio di uno nuovo da protagonista.