Impariamo a scrivere da piccoli, ma poi ognuno trasforma la scrittura in uno specchio della propria personalità. Lettere, che diventano simboli pronti a raccontare qualcosa di noi, del nostro carattere del modo di relazionarci agli altri. Oltre alla sostanza, anche la forma è rilevante.
L’interpretazione della scrittura è affidata alla grafologia, nata in Francia alla fine dell’Ottocento. Una disciplina che si è arricchita nel corso degli anni, con l’avvento di specifiche scuole grafologiche, rappresentative di un metodo d’indagine basato su ricerche e studi sistematici.
Dall’analisi della personalità, al reclutamento lavorativo, dall’ambito giudiziario a quello scolastico: sono svariati i settori in cui sentiamo parlare di grafologia. Per capire meglio cosa si nasconde dietro la nostra scrittura su Il Giornale digitale abbiamo intervistato Francesco Rende, grafologo giudiziario di professione e autore del libro 101 modi per interpretare la tua scrittura e quella degli altri.
In poche parole, ci spiega cos’è la grafologia?
La grafologia è una disciplina che si fonda sul presupposto che vi sia un nesso tra alcune caratteristiche del temperamento e della personalità e alcune caratteristiche della scrittura. Le faccio un esempio che c’entra relativamente ma spiega bene perché la grafologia “funziona”. Uno dei criteri diagnostici della depressione è il rallentamento psicomotorio.
Chi è depresso tende quindi a rallentare i movimenti, ma la scrittura è un movimento, e quindi tenderà a rallentare anche la scrittura. La stessa cosa vale per l’eccitazione maniacale che può comportare «l’esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente» ed è evidente che se pensi e parli rapidamente tenderai a scrivere in maniera altrettanto precipitosa. Il nesso tra scrittura e sistema nervoso da una parte, e tra sistema nervoso e temperamento dall’altra non è sfuggito ai molti medici che si interessano di grafologia, tra cui ad esempio Veronesi, che ha espresso sulla grafologia giudizi lusinghieri.
Come è utilizzata la grafologia nei casi giudiziari?
In ambito giudiziario non si utilizza la grafologia di personalità (che è quella di cui parlavamo prima) ma la cosiddetta “grafologia giudiziaria” o peritale, che con la grafologia condivide, in pratica, solo il nome. Non si risale quindi alla personalità dello scrivente ma si effettua un esame comparativo tra scritti in verifica e in comparazione per accertarne l’autenticità.
La maggior parte dei grafologi giudiziari, tuttavia, viene da studi di grafologia di personalità, anche perché questa risulta comunque utile nella misura in cui insegna a osservare la scrittura in profondità e a rilevarne aspetti che non sono evidenti a un profano (un esempio su tutti: la rapidità grafica).
Quali sono i primi elementi che si osservano nella scrittura di una persona?
E quanto può aiutare, ad esempio, l’analisi della scrittura di una persona con cui siamo a stretto contatto?
Le categoria grafiche che vengono prese in considerazione sono varie: il ritmo, la velocità, la dimensione, l’orientamento del rigo, l’inclinazione, e altro ancora. La grafologia morettiana, ad esempio, ha codificato più di cento segni e quindi è difficile rispondere alla sua domanda in sintesi.
Per quanto riguarda la scrittura di persone che si conoscono bene (ivi inclusi se stessi) è molto utile in una fase di apprendimento della grafologia perché permette di “verificare” quanto si va studiando. Se ho un amico timido con la scrittura titubante questo può valere come una conferma e al tempo stesso mi permette sia di capire meglio il segno grafologico che la personalità del mio conoscente.
Quanto la scrittura aiuta nell’essere consapevoli di se stessi?
Aiuta molto, il problema è che la consapevolezza non produce automaticamente il cambiamento. Le faccio un esempio. Io sono una persona molto impaziente e la mia scrittura lo conferma, ma non per questo da quando studio grafologia ho imparato a esserlo meno. Può tuttavia essere utile per l’orientamento, o come dice lei per prendere coscienza di se stessi: a volte pensiamo che i nostri pregi e talenti sono alcuni e poi scopriamo invece che sono altri. Da questo punto di vista essere consapevoli di quello che ci riesce meglio e di quello che ci riesce peggio è indubbiamente un vantaggio.
Nel suo libro “101 modi per interpretare la tua scrittura e quella degli altri” c’è spazio anche per l’analisi della grafia di personaggi storici: quale l’ha colpita di più e perché?
Mi ha colpito molto la scrittura di Freud, su cui ho scritto anche un lungo articolo su una rivista specialistica.
Quella di Freud non è quella che in grafologia si definisce una “bella scrittura” e denota una fantasia sbrigliata più che il raziocinio e la compostezza che ti aspetteresti da un personaggio del genere. In genere mi colpiscono le scritture la cui analisi grafologica non corrisponde in alcun modo all’idea che ci siamo fatti del personaggio stesso.
Per citare un esempio di tutt’altro tipo, mi ha colpito molto la scrittura di Francesco Totti, una scrittura molto flessuosa e “femminile” che di certo non ti aspetteresti da un “rude sportivo”.
È stato ospite in trasmissioni tv per analizzare la scrittura di politici e durante “Gazebo” lo scorso marzo ha analizzato la scrittura del Presidente del consiglio Matteo Renzi. Cosa è emerso?
È difficile dirlo in due parole, ma quello che mi ha colpito è che la scrittura di Renzi denota molta più diplomazia, scaltrezza e intelligenza politica di quanta non ne dimostri un’analisi superficiale del personaggio stesso. Insomma, è tutt’altro che un ingenuotto e il fatto che sia diventato il più giovane Presidente del Consiglio della storia d’Italia non è forse un caso.
Che futuro ha la grafologia in un’epoca in cui, tra tastiere e touchscreen, i giovani si stanno disabituando alla classica penna?
Sinceramente non ne ho idea anche perché ormai alla scrittura manuale ci stiamo disabituando tutti, e non solo i giovani. Molte persone mi confessano di non usare più la scrittura corsiva dai tempi della scuola e questo chiaramente rende l’analisi grafologica più complessa, perché bisogno tener conto anche del fatto che non si tratta più della scrittura abituale del soggetto.
Non sono tuttavia tra quei catastrofisti che ritengono che se la manoscrittura dovesse scomparire sarebbe la fine del mondo.
La scrittura ha un suo fascino indubbio ma ci sono infiniti modi per comunicare.
E tutto sommato comunicare è il fine per cui la scrittura si è evoluta.
[Fonte Photo Cover: writingcenter]