“Avete lasciato che qualcuno decidesse per voi cosa sia la bellezza”.
Sono le parole di Chantelle Brown-Young, in arte Winnie Harlow, testimonial del brand Disigual e di una società imperfetta, ma proprio per questo unica.

Winnie sa di essere bella. Lo si legge dai suoi occhi e dalla naturalezza con cui posa dinnanzi ad un obbiettivo donando al suo corpo una posa da perfetta modella in carriera, unica al mondo. Ma a renderla unica, a quanto pare, non è la sua malattia, sebbene sia palesata in ogni scatto della modella Canadese e, talvolta, perfino esasperata da sceneggiature tondeggianti proprio come le macchie che porta sulla pelle; Winnie è davvero unica perché dalla sua diversità ha imparato, soprattutto, che ognuno è diverso a modo suo. In questo siamo tutti inevitabilmente uguali. La storia di Winnie ha catturato da subito l’attenzione dei media che hanno urlato al mondo il successo della giovane e temeraria Chantelle Brown-Young che da malata di vitiligine diventa modella. Questa, per i media tutti, è la notizia dell’uno su mille che ce la fa, del brutto anatroccolo che diventa un bellissimo cigno. Quello su cui, invece, va oggi la mia attenzione è il fatto che la Winnie così innegabilmente diversa da noi sia diventata testimonial di un mondo in divisa.
Chi è perfetto?
Chiedessero a me cos’è la moda, nella sua complessità fenomenale, mi appresterei a rispondere che non è altro che un’ingannevole espressione sociale in cui il messaggio è che bisogna fare la differenza per essere identificati socialmente, mentre l’inganno sta nel fatto che le persone appartenenti a quella stessa società si identifichino tra di loro per similitudini, generi e modi di fare riconoscibili in un batter d’occhio. In altre parole mi riferisco a quella che è comunemente definita: omologazione di massa. Quella grazie alla quale – oggi più che mai – una persona che di fatto non può scegliere la propria epoca di appartenenza, è in questo modo che delimita i principi secondo i quali prende posto dalla parte del torto o della ragione all’interno di essa. Si schiera dalla parte del ricco o del povero. Del tres chic o dell’irriverente punk. Del casual o del finto trasandato. Dell’abito che fa il monaco, della situazione a se stante che richiede un certo outfit e di quell’oggi talmente tanto esposto, e quindi sindacabile, che pretende perfezione e disinvoltura dallo stesso individuo e nello stesso momento. È per questa stessa ragione che non esiste un nerd senza un paio di occhiali dalla montatura grossa e nera, così come è impossibile che un hipster non abbia la barba lunga e almeno una camicia scozzese da abbottonare fino al collo. Una cosa è certa: chiunque intenda abbracciare uno stile deve farlo in modo impeccabile. Deve sposare quella filosofia di vita, percorrendo una graduale mutazione ed esaltazione del proprio io.
Il lato più affascinante, ma al contempo incontrollabile, di quello che accade in massa è il fatto che le mode odierne viaggiano tutte al pari. Non esistono più le classificazioni di stile per epoche, bensì esiste un’epoca riconoscibile perché testimone di tutti gli stili passati, solo dai nomi americanizzati. Questo, però, implica che a non essere collocabili non siano solo i singoli, ma anche i loro tempi evolutivi. O, ancora, che ci si spinga fino allo stadio successivo all’esaltazione: il modificare il proprio corpo pur di essere diversi e riconoscibili. Quello che accomuna tutti, ad ogni modo, è un bisogno univoco di raggiungere la perfezione. In questo ideale rientrano anche riti transgenici e limitanti per la società stessa: lobi dilatati, tatuaggi sulle mani e sul volto, lingue biforcute e ogni cosa possa essere sinonimo di libertà di espressione della perfezione secondo il singolo, che – non per scelta sua – fa parte di una società che funge da tuta miemtica per gli spiriti liberi e li sopprime. Lì dove, ormai, tutto è possibile, ci si spinge oltre.
Le passerelle oggi
Il mondo moda sembra ribellarsi a questa mancanza di limiti. Tenta, quindi, di fare ordine sul concetto di bello e anche su quello di diverso.
Alla Mercedes Benz Fashion Week A/W 2015 così giungono in scena modelli inaspettati che calcano le passerelle con l’ausilio di protesi, su una sedia a rotelle o aventi malformazioni corporee. Dai modelli che non ti aspetti giunge il più evidente segnale di uguaglianza: la diversità esiste ed è un fattore naturale.

Quello della vetrenizzazione sociale è un fenomeno che vede fondare le sue radici alla fine dell’800 con l’avvento delle grandi vetrine nei negozi e con l’utilizzo di manichini dalle forme perfette che, da quel giorno, finiranno sempre più spesso nel mirino accusati di distogliere il singolo dall’ideale di figura umana fino al raggiungimento di ideali estremi. Quello che, però, è successo dall’800 ad oggi è che, indistintamente, ogni individuo è portato a vetrinizzarsi per stare al passo con la società delle icone. Ma, scomodando chi di unicità se ne intende, Giorgio Armani – icona di stile tutta all’italiana – insegna che: “l’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”. Distogliendo lo sguardo da quanto ci circonda e ponendo più attenzione su noi stessi, potremmo scoprire quanto ognuno di noi sia realmente, amabilmente e unicamente (im)perfetto: se stesso, l’unica condizione necessaria per essere alla moda.
[Fonte: acolazionenonsiparla.it]