Uno dei temi più importanti per il nostro Paese è senza dubbio la lotta alla mafia nelle sue varie forme. Dal 1992, anno delle stragi di Capaci e via D’Amelio in cui morirono i giudici Falcone e Borsellino, tanti progressi sono stati compiuti ma ancora molto c’è da fare. Questa guerra è combattuta non solo dallo Stato e dalle forze dell’ordine ma anche da associazioni fatte da comuni cittadini tra cui spicca Don Ciotti fondatore dell’associazione Libera.

Negli anni novanta l’impegno di don Ciotti si estende, infatti, al contrasto alla criminalità organizzata. Dopo le stragi dell’estate del 1992, fonda la rivista Narcomafie – di cui sarà a lungo direttore– e nel 1995 il coordinamento di Libera, oggi punto di riferimento per oltre 1.600 realtà nazionali e internazionali (fra cui diverse sigle del mondo dell’associazionismo, della scuola, della cooperazione e del sindacato). Nel 1996 Libera promuove la raccolta di oltre un milione di firme affinché sia approvata la legge sull’uso sociale dei beni confiscati, e nel 2010 una seconda grande campagna nazionale contro la corruzione. Lo scopo di Libera è accrescere il cambiamento etico, sociale, culturale necessario, di cui parlava anche Borsellino, per rompere alla radice i fenomeni mafiosi e ogni forma d’ingiustizia, illegalità e malaffare. A questa finalità sono stati progettati i percorsi educativi in collaborazione con 4.500 scuole e numerose facoltà universitarie; le cooperative sociali sui beni confiscati con i loro prodotti dal sapore di legalità e responsabilità; il sostegno concreto ai familiari delle vittime e la manifestazione che si svolge ogni anno il 21 marzo, dal titolo “Giornata della memoria e dell’impegno”; l’investimento sulla ricerca e l’informazione e l’attenzione alla dimensione internazionale, con la rete di Flare – freedom, legality and rights in Europe.
Nel gennaio 2013 le associazioni Libera e Gruppo Abele fanno partire la campagna online di Riparte il futuro, che ha consentito la modifica dell’articolo 416 ter del codice penale in tema di voto di scambio politico – mafioso il 16 aprile 2014.

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Di fronte a tutto questo la mafia non poteva rimanere indifferente e, infatti, Totò Riina è stato intercettato mentre in carcere minacciava di morte proprio Don Ciotti. Da quel momento si può tranquillamente dire che il fondatore di Libera sia diventato l’uomo più minacciato d’Italia.
Vediamo come sono cambiate le sue giornate. In cima alla strada, davanti alla pizzeria Da Enzo, quattro pattuglie dei carabinieri attendono Don Ciotti. La notte prima, dalle 23 all’una, gli uomini e i cani dell’unità cinofila hanno perlustrato i locali. Subito dopo sono arrivati gli artificieri e al mattino, poco prima che la gente iniziasse a riempire la sala, hanno effettuato nuovamente gli stessi controlli.
Nel cortile sono schierati 24 poliziotti addetti all’ordine pubblico. Intorno alla biblioteca comunale si scorgono altre 12 vetture delle forze dell’ordine. Ecco la prima delle quattro macchine della scorta. Una volta superato il cancello della biblioteca comunale di San Giuseppe Jato scendono gli agenti e si guardano intorno. Aprono la porta posteriore della seconda vettura dalla quale esce Don Ciotti, l’uomo che «putissimu pure ammazzarlo» secondo Totò Riina. Al fondatore di Libera viene riservato un livello di sorveglianza di poco superiore a quelllo dei magistrati più esposti e di poco inferiore rispetto a quello di cui gode il presidente della Repubblica .

Sono ormai quasi due mesi che la vita di don Luigi Ciotti è cambiata. Domenica lo hanno trovato in tanti alla marcia della pace Perugia-Assisi, quando lo hanno notato con intorno uomini in borghese circospetti, era vicino e al tempo stesso distante dagli altri. Le conversazioni del capo dei capi mafiosi durante l’ora d’aria hanno svelato un interesse nei confronti di Don Ciotti ai limiti dell’ossessione e altri boss, dopo mesi di silenzio, parlano di lui. Le intercettazioni riportate dai giornali sono pezzi di un discorso in fieri ma c’è di peggio nelle loro parole :un progetto che contempla diffamazione e calunnia in quanto, in mancanza del tritolo, vogliono distruggerlo con l’infamia. All’inizio di settembre il ministero dell’Interno ha così preso la decisione di blindare la vita a un ragazzo di quasi 70 anni che svolge il suo sacerdozio molto lontano, a Torino.

La Sicilia è presente da tantissimi anni nela vita di Don Ciotti e ci torna quasi ogni settimana, per viaggi a tappe forzate dalla logistica estrema. Quando è sull’isola la scorta di don Luigi quasi raddoppia, per evidenti ragioni e alla sorveglianza di grado più alto vengono aggiunte altre due vetture e altri quattro uomini che provengono dalla scorta di Antonio Ingroia, l’ex giudice del processo sulla trattativa Stato-mafia.
Il giorno della strage di Capaci, 23 maggio 1992, era a Palermo per un corso di formazione e il primo aereo che partì dopo la strage fu il suo. «Mi chiesi cosa potevo fare». La risposta giela diede un volontario del Gruppo Abele, l’associazione contro le narcomafie da lui creata cinquant’anni fa, Giancarlo Caselli, un altro con Palermo nel destino. La soluzione era concentrarsi sulle proprietà e i terreni confiscati ai clan, come fossero un interruttore, passando Dal male al bene, dall’indifferenza alla presa di coscienza. Stava per nascere Libera, che oggi comprende altre 6.500 associazioni, il marchio che certifica la perdita di terreno, non solo figurata, della mafia.

Le minacce sono sabbia nell’ingranaggio della vita di Don Ciotti in continuo movimento. All’inizio di ottobre era a Lampedusa, poi è tornato a Torino via Malpensa per celebrare messa e un funerale. Poi è volato a Roma per un incontro istituzionale e subito dopo è tornato in Sicilia per la lunga giornata in cui lo aspettavano per consegnargli la cittadinanza onoraria del paese che fu roccaforte dei Corleonesi. Tre tappe per 600 chilometri. A sera ha preso l’ultimo aereo, il giorno dopo partecipava alle esequie di un amico : avanti e indietro, sempre e ancora Roma, due volte, ancora Palermo. Infine domenica in Umbria alla marcia della pace. Ogni volta con un passaggio di consegne, la sosta nella piazzola di un hotel fuori mano per la staffetta tra scorte ausiliarie, che affiancano quella ufficiale per seguirlo nel loro territorio.

A casa sua è anche peggio perché gli spostamenti brevi sono più difficili. Quando è a Torino don Luigi viene seguito da altre due auto e nel protocollo è prevista la consegna degli appuntamenti di giornata e un preavviso di un’ora per qualsiasi imprevisto, sia un caffè al bar o una visita in chiesa, con bonifica dei luoghi. Non c’è nessuno strappo alla regola : come in Sicilia, doppia bonifica, alla sera e di mattina presto con la chiesa piena di poliziotti era sorvegliata da decine di poliziotti.

Un esempio di come Libera riesca a operare contro la mafia e per il benessere della società lo si può vedere a San Giuseppe Jato era il paese di Giuseppe Brusca e di Santino Di Matteo, il bambino ucciso e sciolto nell’acido dopo una lunga prigionia. Ora sui terreni che furono di quel boss si è sviluppata una delle più grandi cooperative siciliane che produce vino e cibo che va in tutto il mondo e sull’etichetta di ogni bottiglia e barattolo c’è scritto da dove viene, e perché. Nelle intercettazioni Riina parla della «roba» che era sua. «Ci sono alcune ragioni per cui mi vogliono male. Abbiamo dimostrato che è possibile fare senza di loro, prendere il loro patrimonio e renderlo produttivo. La seconda è il nostro sforzo per creare una coscienza. La mafia teme più le scuole della giustizia. In Sicilia abbiamo avviato cinquemila progetti didattici. Infine c’è la nostra scelta di costituirci parte civile nei processi, fornendo assistenza legale ai testimoni di giustizia. Assicuro che dà molto fastidio».

Don Ciotti

La neonata cooperativa di cui don Ciotti ha parlato recentemente come unico antidoto ai Totò Riina di questo mondo si trova a Castelvetrano, in provincia di Trapani. I suoi ragazzi gli avevano preparato uno spuntino in un uliveto bruciato dai mafiosi non proprio entusiasti del passaggio di proprietà. «L’unica paura è quella di non riuscire a fare le cose. Più se ne parla, più le famiglie hanno difficoltà a mandare i loro cari ai nostri appuntamenti. Non sono minacce, è una strategia».

L’auspicio è che davvero lo Stato continui a fare il possibile e anche di più per proteggere Don Ciotti, un grande uomo di Chiesa che dà tutto il suo tempo per combattere la mafia e quindi si mette al servizio della società.