È da poco iniziato un nuovo anno ed è, dunque, tempo di bilanci, propositi, riflessioni, selezioni. Più che in ogni altro momento, l’inizio imminente di qualcosa ci porta ad analizzare e rivedere ciò che di brutto e bello c’è stato, cosa abbiamo imparato, quanto siamo felici. E qual è il metro per capirlo? Il numero di “vorrei”, “potrei”, “dovrei”, che ricorrono nei nostri pensieri, nelle nostre parole, nelle nostre azioni.
Riempiamo le nostre giornate di piccoli obiettivi, doveri, rimpianti e desideri, tutti rigorosamente preceduti da verbi coniugati al condizionale. Sì, proprio come se la condizione necessaria per la nostra felicità non dipendesse da noi, come sé aleggiasse sulle nostre teste, in attesa del momento e del posto giusto, che poi quali siano non si sa. Ogni mattina, appena schiudiamo gli occhi, iniziamo con: “dovrei andare a lavorare“, “dovrei fare il bucato“, “dovrei lavare l’auto“. E poi “potrei andare in palestra, ma…“, fino ad arrivare ogni sera, giorno dopo giorno, con una manciata di vorrei nella testa, trascurati perché beh, a quel punto si è troppo stanchi. E i piccoli obiettivi sono pressoché necessari, a livello logistico e organizzativo. Ma come la mettiamo con i grandi obiettivi? Laurearsi, sposarsi, lavorare, avere dei bambini: insomma, le mete macroscopiche e più comuni nella vita di ognuno. Le tappe che sembrano essere fondamentali per portare a termine il compito dei compiti: realizzare se stessi.
Ma, sui piatti della bilancia, quanti “potrei” sono presenti in questa realizzazione? E quanti “vorrei”? L’ago che pende da un lato o dall’altro della bilancia, definirà il nostro successo o fallimento. E, attenzione, non rispetto al mondo, ma rispetto a noi stessi. Perché, a conti fatti, i “vorrei” di ogni singolo individuo sono unici e inimitabili, ma la realizzazione personale, quella che tanto bramiamo, non consiste in nient’altro che nella felicità. Per questo non avere piani non è un cattivo segno. Ce l’ha detto Nietzsche prima e la psicologia poi. Non abbiamo le conoscenze adatte per figurarci un’idea di vita preconfezionata: quell’idea sarà influenzata da aspettative di terzi, comodità, convenzioni e tanto altro, non sarà mai autentica e spontanea. Ci vuole una vita per imparare a conoscere se stessi, ma non ne basta una per imparare a conoscere il mondo e gli altri.
Per questo bisogna eliminare il superfluo, bisogna eliminare tutti quei condizionali. Pretendiamo di coniugare i verbi all’indicativo presente, perché quei verbi diverranno azioni. Scegliamo ogni giorno il verbo “volere” all’indicativo. Perché cambiare strada non è un fallimento, ma, al contrario, è segno che non rimaniamo fermi. Perché quello che vorrò domani, magari non è quello che voglio oggi. Muoviamoci, facciamo errori, scegliamo, proviamo. Sempre e sempre diversamente. Solo così inizieremo a vivere all’indicativo. Solo così inizieremo a vivere.