Una voce sincera, fresca e ciondolante quella di Dylan Magon, una di quelle col freno a mano tirato, che sembra voler evitare a tutti i costi la banalità. Come potrebbe d’altronde essere banale un ragazzo col suo curriculum di vita (nascita a Palermo da genitori mauriziani, con seguente trasferimento al Nord, Voghera) e di musica (semifinalista di The Voice of Italy al primo colpo, a 21 anni)?

Dopo l’intensa esperienza vissuta all’interno dell’edizione del talent poi vinta da Suor Cristina Scuccia, dove in tanti sono rimasti colpiti dal suo rap, Dylan Magon adesso fa sul serio: il 1° luglio è uscito il suo EP d’esordio, Diamante, proprio come il suo nome d’arte adottato durante i primi passi nel mondo della musica.

É lo stesso Dylan, intervistato da Il Giornale Digitale, a raccontarci dei suoi inizi, del suo grande sogno – Sanremo – e di come sia passato nuovamente da Diamante a, semplicemente, Dylan Magon.

– Ci presenti Diamante, il tuo EP d’esordio?

Dylan: Il titolo fa chiaramente riferimento al mio nome d’arte, Diamante. Ho scelto di chiamare così questo progetto per iniziare una nuova fase della mia carriera ma anche per dare un senso di continuità. É composto da cinque inediti e una cover, che cantai anche a The Voice: il passaggio dai lock-out ai live è stato molto sentito e quella canzone (Hold on, we’re going on, di Drake, ndr) rappresenta perfettamente la transazione tra i due momenti. Negli altri brani ho cercato invece di parlare d’amore, in tutte le varie sfaccettature che il mio stile propone.

– Come ti sei avvicinato alla musica, quella che ormai da passione è divenuta professione?

Dylan: In realtà la passione per il canto l’ho sempre avuta, sin da piccolo. D’altronde è una cosa che non arriva così, all’improvviso. Ho sempre ascoltato Rap e R ‘n’ B. Una passione del tutto spontanea, dunque.

Sei nato praticamente a metà anni ’90: quali sono stati i modelli che ti hanno fatto avvicinare al rap?

Dylan: Al rap mi ci sono avvicinato in maniera relativamente recente, circa 3-4 anni fa. In precedenza, la situazione del rap italiano non era così variegata, dunque ascoltavo tantissimo quello americano. Ho iniziato sentendo il bisogno di approcciarmi alla scrittura rap grazie a Emis Killa: il suo rap, per così dire tamarro e legato alla strada, mi piaceva. Mi piacevano le metafore e i giochi di parole. Quando ho capito quale fosse la strada da percorrere ho passato un intero anno a studiare, affinando la tecnica, ascoltando sia rap americano che italiano.

– Tornando ai giorni di The Voice, che ricordi conservi di quel periodo?

Dylan: A pensarci adesso, sembra essere passata un’eternità.
L’impatto col programma è stato fortissimo, l’ho vissuto in maniera davvero intensa. Le prime volte ero agitato, non sapevo se piacessi o meno, era un pò come quando a sedici anni si esce per la prima volta con la nuova ragazza. Poi, acquisendo confidenza e sicurezza, mi sono sciolto. Ed è stato meraviglioso.

– Il rapporto con coach J-Ax prosegue anche fuori? Vi sentite ancora?

Dylan: Ogni tanto ci sentiamo. Al momento Ax, tra libro e nuovo album, ha molti progetti in corso, lo vogliono tutti ed è difficile che sia libero. Per adesso non c’è nulla, ma spero vivamente di poter collaborare insieme a lui più avanti, è pur sempre un mio sogno.

– Non credi ci sia un pò di contraddizione nel fare rap ma anche far parte dello show-business? Il genere non rischia di snaturarsi?

Dylan: Beh, il rap nasce per protesta, per dire la propria su ciò che non va bene. Col tempo poi è normale chele cose cambino. Credo però che praticamente tutti quelli che fanno rap siano in qualche modo figli dell’America: dipendiamo dai cambiamenti che da lì provengono. Mentre in Italia sono ancora in tanti a tenere ai concetti che il proprio rap esprime, negli USA questa cosa si sta perdendo un pò. Ciononostante non credo sia una contraddizione, è più che altro la percezione che adesso c’è del rap ad essere mutata: oggi lo trovi dovunque, sembra andar di moda e consegnare le chiavi del successo. Però, ecco, c’è chi rimane al di fuori da questa logica, e mi riferisco principalmente agli artisti già affermati.

– Un pensiero su Suor Cristina e le polemiche sulla sua vittoria a The Voice?

Dylan: Io Cristina ho imparato a conoscerla ed è una ragazza dolcissima. É chiaro poi che alla sua vittoria ha contribuito anche il fatto che lei sia una suora, non c’è nulla di male ad ammetterlo. Se però al televoto ha trionfato non è stato solo grazie all’abito ma anche al talento: si può dir quello che si vuole ma se è il popolo a mandarti avanti tu meriti di vincere. Così come merita Cristina tutto quello che ha avuto, ho grande stima per lei.

– C’è una canzone che hai reinterpretato che ti è rimasta dentro?

Dylan: In realtà, soffrendo di egocentrismo d’autore (sorride, ndr), tendo ad evitare di proporre cover. C’è però una canzone cantata a The Voice, l’unica che non ho declinato in rap, perchè c’era una voce che mi imponeva di non farlo: Man in the mirror, di Michael Jackson. Ogni volta che ascolto quel pezzo mi emoziono tantissimo, sia per il brano in sè sia per quello che rappresentava in quel momento nello show. E poi MJ per me è divino.

– Breve viaggio nel tempo: estate 2015. Dove spera di vedersi Dylan Magon?

Dylan: Io ho un grande sogno nel cassetto, quello di arrivare a Sanremo. Fra un anno dunque spero di ritrovarmi qui a raccontare della mia esperienza sanremese. Il palco dell’Ariston e il primo posto nelle classifiche, ecco dove spero di vedermi. E non sono certo il tipo che lascia marcire i propri sogni in un angolino.

[Ph. Credits: The Voice of Italy]