Amazon si è allargato. Ha incluso nelle sue vendite anche prodotti alimentari e di cura per la casa, come un supermercato, con la differenza che la spesa si potrà fare comodamente con un click e ti arriverà direttamente a casa senza che tu muova un dito. I clienti Premium Prime aspetteranno al massimo un giorno, mentre per qualcuno, fortunato, nell’area di Milano c’è la possibilità che la spesa gli sia recapitata direttamente in serata. Un grande passo avanti che permette ai meno pazienti di evitare le lunghe file alla cassa del supermercato di quartiere. Se si pensa, poi, che Amazon è aperto 24 ore su 24, 7 giorni su 7, i vantaggi si trovano eccome.

Amazon è il numero uno dei siti di e-commerce in circolazione e permette di avere a disposizione qualsiasi prodotto ci serva a portata di click. È questo il vantaggio primario del commercio elettronico, che contribuisce in maniera notevole all’economia mondiale.

L’e-commerce ha cambiato radicamente il mercato e le modalità di acquisto e di vendita. Sempre più venditori, per raggiungere un maggior numero di clienti e per essere sempre più competitivi, decidono di espandere il proprio business creando un negozio online. Per le PMI il commercio elettronico è l’occasione per estendere le loro attività al di là dei confini nazionali e regionali, oggi è possibile vendere online anche se non si ha già un’attività ben avviata e soprattutto senza doversi occupare necessariamente del magazzino prodotti con conseguenti costi fissi e problamatiche relative alle scorte, inventario e spedizioni, ma solleva anche problemi e crea pressione competitiva. Nel commercio al dettaglio si lamentano difficoltà e costi più elevati a causa di diversi trattamenti fiscali e di un diverso diritto dei contratti, a maggiori costi di consegna al di là dei confini e a restrizioni imposte dai fornitori alle operazioni transfrontaliere.

Roberto Liscia, presidente di Netcomm, il consorzio costituito nel 2005 con l’obiettivo di favorire la crescita e la diffusione del commercio elettronico in Italia, sostiene che i consumatori digitali stiano crescendo a ritmi vertiginosi: metá delle famiglie italiane acquista in rete e almeno una persona all’interno di questi nuclei è decisore di acquisto online.

Tuttavia, l’Italia, rispetto al resto d’Europa risulta essere in ritardo, se si considerano i numeri di imprese online. Il motivo risiede nella mancanza di un ecosistema normativo.

Andando nel dettaglio, si può vedere che il valore del fatturato complessivo dell’ultimo anno sia di 13,3 miliardi di euro (17% in più rispetto all’anno precedente) e come gli acquirenti online siano passati da 9 a 16 milioni. Tutti dati positivi, se non fosse che il numero di imprese con un canale di vendita online pesa per il 4% (30.000 imprese di commercio elettronico) sul numero totale di imprese attive in Italia. Una quantità non ancora sufficiente considerando che in tutta Europa si contano 645 mila imprese, le stesse che, tra l’altro, sono riuscite a creare più di 2 milioni di posti di lavoro, riducendo in parte il tasso di disoccupazione, altra sfida cruciale per le istituzioni.

In Italia sono 2,6 miliardi le persone connesse di cui 1,2 miliardi quelle che acquistano online, mentre in Europa i dati sono decisamente più alti: mezzo miliardo di utenti contro i 264 milioni di acquirenti. Ma i consumatori italiani stanno acquisendo sempre più familiarità con i nuovi strumenti che la tecnologia offre. Inoltre il trend ha stravolto i paradigmi del commercio tradizionale: non è più l’impresa che vende, ma il consumatore che acquista.

“Il digitaleconclude Roberto Liscia potenzierà il commercio del futuro, poiché crea nuove competenze e rappresenta una leva di export e competitività. L’Italia è uno tra i Paesi con più ampi margini di miglioramento, quindi bisogna spiccare il balzo e far capire alle istituzioni l’importanza di norme che regolino il mercato dell’eCommerce.”

Ma quali sono i settori merceologici più redditizi sul web?
Indubbiamente al primo posto troviamo il turismo, seguito a ruota dall’abbigliamento, dall’informatica, dalle assicurazioni, dall’editoria, dal grocery, dall’agglomerato di comparti e infine dal couponing. Tuttavia chi contribuisce realmente alla crescita dell’eCommerce in Italia sono il food&wine, arredamento e design e la cosmetica.

Stando ai dati di Netcomm e del Politecnico di Milano l’export è aumentato del 24%, generando un valore di 2,5 miliardi di euro, provenienti dai mercati Europa, USA, Giappone e Russia. La Cina è un mercato che continua a crescere, ma per niente semplice da gestire vista la presenza di grandi player come Alibabà.

Il valore dell’acquistato è di 14 miliardi di euro, che confrontati con il totale dei retail nel nostro paese, pesano solo il 3%. Attualmente i web shopper sul territorio italiano sono 16 milioni, cresciuti del 14% rispetto all’anno scorso, ma chi acquista con una certa regolarità genera di per sé il 90% della spesa totale.
Dal punto di vista dell’offerta, le aziende che distribuiscono prodotti e servizi attraverso il canale di vendita online, si suddividono in tre tipologie: le dotcom, ossia le imprese nate per vendere su internet, che ad oggi rappresentano il 50% del totale, seguite dagli aggregatori (30%) e dai retail online (20%).

Sono buoni punti di partenza, ma l’e-commerce italiano non può ancora ritenersi pienamente soddisfatto se messo a paragone con il resto dell’Europa e del mondo. Per migliorare la situazione “bisogna far crescere l’offerta con l’innesco di logiche multicanale, agevolare la normativa e far ripartire l’export con gli strumenti per tarare le giuste strategie. Stiamo vivendo quella che è stata autorevolmente definita Terza Rivoluzione Industriale. Internet oggi è l’esperienza più totalizzante che la storia abbia mai vissuto e l’Italia è il paese perfetto per aver successo in questa rivoluzione, grazie alla notorietà spontanea del Made in Italy. Ciò che manca nel nostro paese non è la domanda bensì l’offerta” conclude Liscia.

Per avere un quadro completo della situazione digitale italiana, altri dati ci giungono dal Nielsen, che si occupa di studiare i consumatori in 47 mercati europei e in oltre 100 Paesi di tutto il mondo. Come è facilmente immaginabile, internet ha rafforzato la propria centralità nella vita quotidiana degli italiani. Come emerge dal grafico, nel 2014 si sono connessi ad internet 21,7 milioni di utenti medi al giorno, in media per 1 ora e 55 minuti. Di questi, il 39% degli accessi a internet in un giorno medio avviene esclusivamente da mobile.
La centralità del digital però non si esaurisce solo nella fruizione di internet ma diventa sempre più rilevante anche dal punto di vista dei consumi e dello shopping. I connected devices vengono utilizzati lungo tutto il path to purchase: il 60% degli italiani fa browsing online prima di acquistare in negozio, il 46% si fa consigliare da reviews online e 1 italiano su 4 utilizza lo smartphone in store per cercare sconti e promozioni.

I dati ci danno altre informazioni e ci dicono che gli acquirenti online sono concentrati soprattutto al nord, hanno meno di 45 anni e fanno parte di famiglie con figli. Inoltre, si tratta di persone con un reddito medio-alto, sfatando così il mito che online si acquisti solo per cercare di risparmiare.

Come già detto in precedenza, però, l’e-commerce rappresenta non solo un’opportunità per le PMI, ma anche per le grandi imprese, di internazionalizzare la propria attività ed essere presente su più mercati, nazionali, internazionali, senza costi e virtualmente. Ma bisogna anche considerare l’altro lato della medaglia, quello che, invece, vede il commercio elettronico una minaccia per gli esercenti. Ultimamente si era parlato del disegno di legge che vedeva costretti tutti gli esercizi commerciali alla chiusura di 12 giorni l’anno, durante le festività principali, Capodanno, Epifania, Pasqua, Pasquetta, anniversario della Liberazione, Primo maggio, festa della Repubblica, Ferragosto, Ognissanti, Immacolata Concezione, Natale e Santo Stefano, avendo la libertà di scegliere di rimanere aperti sei di questi giorni, e recuperare con sei giorni a scelta.

Il decreto è stato già approvato alla Camera e adesso è in discussione al Senato, ma vanno fatte delle precisazioni. Come è possibile evincere dal disegno di legge, disponibile sul sito del Senato, l’e-commerce non rientra in questa proposta. “Sui siti di e-commerce non eravamo proprio intervenuti perché è molto difficile ipotizzare una loro possibile chiusura” ha dichiarato l’onorevole Angelo Senaldi (Pd), relatore dell’originario disegno di legge. “Molti di questi portali non sono nemmeno in Italia e sarebbe molto complesso oscurarli”. La proposta di legge poi “si riferisce esclusivamente ai territori e agli spazi urbani, non al commercio elettronico”, sottolinea Senaldi.

C’è da stare tranquilli, dunque, perché i nostri siti preferiti rimarranno aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, come hanno fatto finora, d’altronde. E nella dura legge della sopravvivenza nel mercato, per fronteggiare la concorrenza, gli esercenti dovranno adeguarsi, ma in fondo è questa la regola del libero mercato.