Google lo sa.
Per quanto possa parere un vezzo, esattamente come quello che ci ha condotti ad identificare quella parte degli utenti web altamente autoreferenziale in fashion victim, Google lo sa che è la voce moda del suo database a farci cadere tutti ai suoi piedi. È la necessità di indossare la propria persona – o quella di qualcun altro – a farci navigare per ore, ed ore, tra i meandri dei siti più in del momento: quelli attira-click per forme e colori degli abiti e degli accessori che sponsorizzano. Erano gli anni ’50 quando il termine moda assunse un significato ben specifico: racchiudere in una parola un fenomeno che andava ben oltre le esigenze psicologiche e culturali, ovvero quelle economiche e sociali. La ricerca di abiti consoni alle circostanze, dunque, non è più una necessità del singolo, ma un bisogno sociale spendibile: la moda è un lavoro. Ad oggi anche tra i più ambiti e, al contempo, inflazionati, ma i dati parlano chiaro: anche gli anticonformisti del settore cercano un paio di scarpe su Amazon. Magari non del colore che Pantone ha dichiarato essere il protagonista di stagione ma, esattamente allo stesso modo di chi del fashion ne ha fatto un diktat, fa incrementare il valore commerciale elettronico della categoria più discussa di sempre.
L’Osservatorio B2Oc Netcomm Politecnico di Milano dell’abbigliamento online ha stimato dati esilaranti a favore delle piattaforme e-commerce più valide del web: la moda detiene il suo primato con un incremento del +25%, passando da un retail totale del 2,9% nel 2013, a quasi il 4% nel 2014, il pari in termini monetari è di 350 milioni di euro. Il 13% di queste vendite giunge da dispositivi mobili, dai nostri smartphone abbiamo acquistato abbigliamento (e simili) pari a 220 milioni di euro nell’ultimo anno. Gli acquirenti via smartphone sono per lo più donne e hanno un’età compresa tra i 25 e i 49 anni; la ragione è puramente organizzativa: non si rinuncia a del sano shopping solo per mancanza di tempo, quindi, il carrello virtuale lo si riempie dal proprio smartphone nel mentre tra la spesa, la casa e i figli, per la mamma digitale e tra lo studio, il lavoro e l’attività social per la donna digitale. Gli uomini non sono da ritenersi esonerati da questo modus operandi di fare shopping: a quanto pare le donne acquistano anche per loro, sotto espressa richiesta.

Un bravo venditore è colui che sa monetizzare il bisogno del proprio acquirente. Per bisogno s’intende anche ciò che lui non sa ancora di volere.
Google – lì dove tutto è trovabile – ne ha fatto il suo punto di forza e, stando ai beni di maggior consumo online, si appresta a diventare un fashion addicted con il suo primo Fashion Trend Report negli USA. Da oggi in avanti ne uscirà uno ogni sei mesi con l’obbiettivo di divenire un player di riferimento nel mondo moda, oltre che una già consolidata piattaforma advertising. L’analisi di Google, per non tradire il fare da massimo esperto di comunicazione, suddivide i beni in tendenze a crescita duratura e ossessioni del momento, così che si possano effettuare dei piani commerciali più che funzionali e che possano soddisfare ogni tipo di richiesta, da quella più frivola e che lascerà presto spazio ad altre a quella che, invece, prende posto tra le cose che assolutamente non possono mancare all’interno del nostro guardaroba. Per non cadere nell’errore, le case di moda potranno consultare anche la sezione prodotti in declino costante che comprenderà tutti quegli abiti che dopo un grande successo sono, ormai, fuori tendenza.

Sembrava finita l’era della moda.
Fashion Blogger e Influencer del settore erano stati additati di aver posto fine ai retroscena del mondo paillettato. Accusati di aver minato il concetto di moda in quanto identificativo della persona singola e, di conseguenza, di aver posto fine alle innumerevoli figure professionali che si celano dietro il prêt-à-porter. Nel vortice delle accuse – tipo girone dell’inferno dantesco – ci erano finiti anche i social, le piattaforme di advertising e l’approccio stesso degli utenti web che sembrano essersi fatti prendere troppo la mano con la questione dell’era digitale, ponendosi ampiamente – ma soprattutto spropositatamente – in vetrina. Quello che è stato sottovalutato è l’aspetto sociale intrinseco dell’attuale forma di comunicazione che ci vuole, e ci conduce con mano ad esserlo, ampiamente eccentrici ai fini di un’esaltazione di massa che sia essa di pensiero, di religione o di cosa.
E Google lo sa.
[Fonte: twitter.com]