È la fine di un’epopea. Di una storia nella storia, che è piena di successi, notti indimenticabili e immagini impresse per sempre come un marchio a fuoco nella mente e nel cuore dei tifosi. È stato il Milan targato Silvio Berlusconi, capace di impressionare in giro per l’Europa e di diventare una delle squadre più titolate in Europa e nel mondo. Indipendentemente da quella scritta che campeggiava sulla maglietta fino a qualche anno fa, e che era un modo come un altro per cercare di nascondere un decadimento che nei fatti ancora oggi non è finito. Anzi, prosegue inesorabile. Il Milan sprofonda sempre più in basso. È fuori dalle coppe e ci rimarrà anche l’anno prossimo, quando probabilmente dovrà scendere in campo il 15 Agosto per un preliminare di Coppa Italia che poco conviene ad una squadra prestigiosa come il Milan.
Analizzare la situazione del Milan degli ultimi 30 anni pensando che si possa scindere la storia del club da quella personale di Silvio Berlusconi sarebbe un peccato originale. Il Milan è stato un po’ lo specchio del proprio presidente, che ne è stato uomo-immagine in tutto e per tutto. Nel bene e nel male. Era il presidente che dettava la formazione agli allenatori, secondo voci di corridoio mai conclamate come vere. Ma non è difficile crederci. Perché abbiamo imparato a conoscere l’uomo (e il politico) Berlusconi, come uno che ama accentrare i poteri nelle proprie mani. E come uno che si ritiene capace di fare qualunque cosa. Ma l’imprenditore milanese, con la propria voglia di essere sempre sotto i riflettori e con tutti i difetti che avrà potuto avere, ha dato al Milan una dimensione europea che nessun’altra squadra italiana ha fino ad ora avuto. Era il Milan di Sacchi, ed era una delle squadre più belle degli ultimi 30 anni in Italia. Forse la più bella. Almeno per il modo di giocare e per la capacità di esportare il calcio totale oltre i confini italici. Una dimostrazione pratica che anche il calcio italiano ha del bello da far vedere in giro per il mondo.
Il Milan è stato lo specchio del proprio presidente. Dalle cose belle e dalle gioie date ai propri tifosi a quelle negative. In Europa del Milan vengono ricordati grandi successi e squadre stellari, ma anche quella volta che nel ’91 si rifiutò di giocare per un problema all’illuminazione del Velodrome di Marsiglia, dove il Milan perdeva 1-0 contro l’Olympique. E perse la partita a tavolino nonostante il faro dell’impianto fosse stato ripristinato correttamente. Erano i primi anni ’90 ed era l’antefatto di un Milan che di lì a poco avrebbe ripreso a vincere tutto in Europa. Senza tracciare una cronistoria da enciclopedia del calcio, si ricordano come flash e come momenti di grande calcio il 4-0 sul Barcellona in finale di Champions, i quattro scudetti in cinque anni, il pragmatismo firmato Capello e lo stress di Sacchi, uno dei rimpianti del calcio italiano.
Ma negli ultimi 30 anni il Milan nonostante abbia avuto dei momenti negativi, come è fisiologico per qualunque squadra di calcio, ha anche vinto tanto. E ha continuato a vincere anche nel nuovo millennio. Il capolavoro assoluto è quella Champions League del 2003 contro la Juventus, il nemico di sempre. Una finale tutta italiana, che non abbiamo più rivisto e che probabilmente, almeno per ora, non rivedremo più. La classica partita che non ha rivincita, o così si dice. E rileggendo la formazione di quel Milan oggi c’è imbarazzo. C’è imbarazzo nel paragonare quanto Inzaghi ha potuto vivere da calciatore a quello che sta vivendo da allenatore. Lui, Pippo, che segnò in un’altra storica finale di Champions: quella di Atene, che sanciva la vendetta della notte storta e stregata di Istanbul.
Ma Inzaghi in tutto ciò è solo un testimone del proprio tempo. E un goleador come se ne sono visti pochi negli ultimi anni in Italia, sicuramente. Ha vissuto nel frattempo, portandone addosso i segni su una carriera da allenatore che in realtà deve ancora iniziare, il decadimento politico, umano, fisico e istituzionale di Silvio Berlusconi. L’uomo capace di fondare un impero, che con il tempo si sta lentamente spegnendo. E sarà questione di crisi economica, età che avanza e che passa per tutti anche per chi ha forse ingenuamente creduto di poter essere immortale, e di tanti altri fattori. Tanto che oggi il Milan potrebbe passare di mano. E non sarebbe un male. Senza dimenticare mai chi con sacrifici e con tutti i propri pregi e limiti ha contribuito ad una grande storia. Nella storia.