Gli Stati Uniti possono finalmente tirare un sospiro di sollievo: Craig Spencer, il dottore di New York risultato positivo al virus dell’Ebola in seguito a un viaggio in Guinea, è stato da poco dimesso dal Bellevue Hospital.
Il giovane medico, che si era recato in Africa proprio a causa dell’epidemia, aveva manifestato i sintomi dell’Ebola per poi essere trasferito d’urgenza in ospedale il 23 ottobre scorso. Dopo poco il test fugò ogni dubbio: Spenser aveva contratto la malattia.
La notizia del contagio scatenò il panico in città perché Spencer non rimase in quarantena subito dopo il rientro dall’Africa. Egli, infatti, continuò a condurre la propria vita fino a quando non fu colto da una febbre delirante; a quel punto le autorità iniziarono una ricerca rivolta all’identificazione di ogni singola persona entrata in contatto con il paziente, tra cui la sua stessa compagna, attualmente posta in quarantena nella loro abitazione.
Il medico è stato sottoposto a cure ancora in fase di sperimentazione, nello specifico con un farmaco di recente creazione e ha ricevuto plasma da Nancy Writebol, la volontaria americana di 59 anni che ha contratto l’Ebola in Liberia ed è stata poi curata in America.
Ancora non si sa se Spencer farà ritorno nella stessa casa in cui risiede attualmente la sua ragazza, o se si stabilirà temporaneamente in un altro luogo.
Con la sua fortunata guarigione gli Usa sono tornati ‘liberi’ da casi febbre emorragica; la paura per la sua trasmissione ha condizionato le abitudini di molte persone in tutto il mondo, vista la immediatezza del contagio e la pericolosità del decorso.
Il virus Ebola fu scoperto negli anni ’70 da Peter Piot, un giovane ricercatore di appena 27 anni.
Piot e la sua squadra furono i primi a maneggiare i campioni di sangue infetto, prelevati dal corpo di una suora fiamminga contagiata mentre si trovava in missione in Africa.
Le provette avevano volato in Europa custodite in un comune thermos di plastica pieno di ghiaccio, e una di queste, nel trambusto del viaggio, si ruppe. All’epoca nulla si sapeva a riguardo del virus, analizzato senza neanche indossare una maschera per coprire il volto.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ordinò che i campioni venissero immediatamente portati in uno dei pochi laboratori adatti. Però, prima di inviarli, la squadra decise di tenerne alcuni in laboratorio per proseguire le analisi. In quella occasione un’altra provetta cadde a terra sporcando di sangue infetto le scarpe di un collega.
Il pavimento fu quindi disinfettato, le scarpe buttate e le cellule infette finalmente esaminate al microscopio: quello che i ricercatori videro fu il più lungo virus mai osservato, un microrganismo a forma di verme simile a un altro virus conosciuto, il Marburg.
Probabilmente solo oggi, dopo le migliaia di vittime fatte da Ebola, i tre scienziati possono rendersi conto del pericolo a cui, senza coscienza nè protezione, hanno esposto le proprie vite.
[www.linkiesta.it]