Chiamarla emergenza ormai è un errore logico perché per definizione le emergenze sono situazioni estremamente critiche e fanno parte di una serie di eventi. La situazione invece che affligge il Mediterraneo va avanti ormai da talmente tanto tempo che è inutile domandarsi quando sia realmente cominciata. Decine di migliaia di persone si imbarcano verso un futuro meno tragico di quello che avrebbero se rimanessero fermi in attesa degli eventi nelle zone da cui provengono: Siria per esempio, piuttosto che Sud Sudan. Eppure il sistema non funziona, non funziona l’accoglienza, non funziona l’organizzazione, non funziona la coordinazione dell’Europa, anzi dell’Unione Europea.
Fino a qualche tempo fa la questione sembrava strettamente legata alla geografia: Lampedusa è un’isola italiana dunque l’Italia è responsabile di quella zona e di quello che succede. Naufragi compresi. Un sistema questo dell’ignoranza di un problema, dalle radici ben profonde e dalle conseguenze sottovalutate, che ha portato all’ingolfasi del sistema e soprattutto alle tragedie annunciate, a quei morti di cui non si saprà mai più nulla e che verranno dimenticati, a quei morti di cui il mare non restituirà i corpi. Più volte ci si è interrogati sui metodi per sconfiggere questo continuo flusso di morti annunciate.

L’Europa per troppo tempo ha fatto orecchie da mercante perché di fatto la questione non è per nulla semplice da affrontare e risolvere. Basta dare uno sguardo a quello che succede da noi, in Italia, quando si avanzano certe proposte, quando si commentano certi avvenimenti: spaccature, polemiche, polveroni, insulti. Ma l’ennesimo naufragio, questa volta devastante numericamente, scuote anche le coscienze più indifferenti e succede che l’Unione Europea decida di organizzare un vertice d’emergenza per sedersi e parlare di quanto si sta verificando in quel Mare Nostrum (nostro di chi?) che bagna si l’Italia ma non solo. Succede che l’operazione Triton si intensifica fino a triplicare la presenza nel Mediterraneo, nel mare, lo stesso che fa da tomba a quei 700, forse 800 corpi che hanno recentemente perso la vita migrando verso il futuro.
Ma qual è il piano d’azione ora? Dal vertice europeo l’Alto rappresentante per la politica Estera e di Sicurezza europea, Federica Mogherini, ha spiegato le prime misure intraprese nell’immediato come il soccorso in mare condiviso dalle navi europee e la promessa di un’azione coordinata nell’accoglienza dei rifugiati. Il mandato dell’operazione che si intende costruire in modo attento e nella speranza che a firmarla siano tutti i paesi membri dell’Ue, è in via di elaborazione a Bruxelles e verrà sottoposto al Consiglio Europeo del 18 maggio. Ma vista l’eccezionalità della situazione oltre che al coinvolgimento di Paesi in guerra, il tutto avverrà con la collaborazione dell’ONU.

La novità insomma del primo piano d’attacco all’emergenza consiste nella risoluzione Onu che dia il la al piano elaborato dalla Ue. Per il momento quello che è stato discusso prevede azioni dirette verso gli scafisti, i trafficanti e le fatiscenti imbarcazioni: una sorta di messa in sicurezza. Ma più nello specifico, sempre da quello che si apprende dalle prime discussioni, la strategia prevede anche l’aiuto ai Paesi di origine e transito dei migranti, il controllo delle frontiere a sud della Libia e nei paesi limitrofi e l’obbligatorietà della suddivisione dei profughi in base ad un meccanismo di quote. Quest’ultima potrebbe creare discussioni accese all’interno dei Paesi membri ed è temibile una sorta di rimbalzo di responsabilità.
Chiaramente si può presumere quale sarà la parte più critica del programma come si accennava prima: quella della redistribuzione dei migranti fra gli Stati membri. Tutto ciò avverrà con alcuni criteri: il tasso di disoccupazione, la ricchezza del Paese, numero degli asili già concessi in passato. Dall’incrocio valutativo di questi dati verranno assegnate delle quote in base alle quali il “problema immigrazione” dovrebbe essere affrontato coralmente dall’Ue in modo equo. A questo proposito si farà riferimento all’articolo 78.3 del Trattato di Lisbona che recita chiaramente: “Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati“.

“Siamo tolleranti e civili, noi italiani, nei confronti di tutti i diversi. Neri, rossi, gialli. Specie quando si trovano lontano, a distanza telescopica da noi“. Così Indro Montanelli dipingeva gli italiani in tempi per altro non sospetti e lontani da questa tumultuosa serie di eventi che riportano alla luce mediatica, ciclicamente, la situazione di emergenza degli sbarchi dei migranti clandestini. Ma davvero Indro Montanelli aveva ragione? Davvero gli italiani sono facilmente classificabili in quella definizione? Perché per ora gli italiani sono stati gli unici nel concreto ad agire senza aspettare ulteriori morti, pur nella difficoltà del saper coordinare in solitaria alcune operazioni. E ora quello che ci si aspetta è finalmente l’Unione che faccia la forza per fermare lo stillicidio di massa.
[Fonte foto cover: chelseanunnenkamp.wordpress.com]