Libertà è la parola chiave di questo periodo dell’anno.
Con l’avvento dell’estate ci abbandoniamo a quel senso di ribellione nei confronti di una routine quotidiana che, tutto l’anno, ci vede costretti ad indossare un abito confezionato da responsabilità, doveri, impegni, ritmi frenetici. Un abito che di norma sembra essere fatto su misura per noi, ma, con l’arrivo della bella stagione improvvisamente inizia a starci davvero stretto.

Strette sono le condizioni da cui desideriamo evadere.
Perché per quanto si lavori duramente per il raggiungimento dei propri obiettivi, personali e professionali, arriva un momento in cui necessitiamo di staccare la spina, di agire fuori dagli schemi. Ma c’è uno schema che resta invariato nelle nostre vite, e riguarda gli affetti.

Gli affetti non vanno in vacanza

L’estate è protagonista di una moltitudine di abbandoni. Come per magia, ma senza illusione alcuna, d’estate vediamo gli status dei nostri conoscenti cambiare da “Ufficialmente Fidanzato” a “Single”, le strutture private che accolgono gli anziani divengono popolate come il più in voga tra i villaggi turistici, e i cigli delle strade diventano la nuova casa che ospita i nostri amici a quattro zampe.
Questa condizione è l’impalcatura perfetta che sorregge uno stato d’animo che può avere grandi ripercussioni sulla nostra personalità, fino a sfociare in quella che si definisce sindrome dell’abbandono.

Per sindrome dell’abbandono s’intende un’insieme di sensazioni che procurano disagio emotivo.
Dall’ansia, alla paura, all’angoscia, fino a sfociare nella depressione che è senza dubbio il più pericoloso tra tutti i mali. C’è un termine in psicologia che racchiude la causa scatenante di questo processo: si chiama permanenza dell’oggetto, e quando questo viene a mancare, perdiamo la stabilità su cui avevamo fondato il nostro mondo ovattato.
Il primo a parlare di permanenza dell’oggetto fu Jean Piaget psicologo, biologo, pedagogista e filosofo svizzero. Piaget, con i suoi scritti, ha spiegato cosa accade quando un bambino riconosce di non essere autosufficiente e riversa il compimento delle sue azioni in un oggetto: la mamma. Quando questa figura manca, il bambino è spiazzato, terrorizzato; quando la mamma, invece, è presente il bambino avverte serenità.

Ma i bambini non sono gli unici ad aver bisogno di un punto di riferimento

Loro sono solo la dimostrazione più eclatante di quello che in realtà è il bisogno primario dell’essere umano: l’altro, il completarsi, l’avere un’entità di riferimento che, inevitabilmente, varia e si evolve in base al mutare dei nostri bisogni. E quando questa figura scompare, o non è corrisposta, la persona abbandonata entra in crisi.

Bisognerebbe forse vivere d’inizi?
Quando è la passione a muovere le cose. Quando il viaggio è tutto da scoprire e non hai mete né traguardi. Una sensazione, questa, che ti fa vivere con l’impressione di avere il mondo ai tuoi piedi: ci si sente invincibili.
L’inizio è per molti – ma non per tutti – quel momento incontaminato dalla paura di una possibile delusione, quel momento in cui senza volerlo, senza deciderlo per davvero, ci si lascia andare.
Ci si abbandona ad un’altra anima, ad un altro luogo, ad un’altra vita.

Per molti, ma non per tutti

Esistono persone che, invece, non iniziano mai.
Perché affidare la propria vita alle emozioni altrui potrebbe significare soffrire. Si tratta di persone che temono l’abbandono più di ogni altra cosa. E la paura di restare da soli pone noi esseri umani, tutti, su uno stesso identico piano che ci vede deboli e timorosi. Così, bisognosi d’affetto, esasperiamo ogni mancanza, e tentando di colmarla inneschiamo un processo inverso: invece di costruire distruggiamo, invece di completare disfiamo.

Ci si accontenta.
Perché lasciare il certo per l’incerto fa paura. E, allora, meglio una situazione piatta e che ci coinvolge il giusto, di una che ci travolge completamente facendoci perdere quella stabilità che avevamo raggiunto. In altri termini si diviene egoisti. Ma si tratta di una forma di egoismo che a lungo andare si ripercuote sulla serenità della nostra stessa vita, dalla quale non abbiamo il coraggio di pretendere.

Ricorda

L’ultima spiaggia della nostra vita è abitata dagli affetti che ne fanno parte.
Quelli che profumano d’estate, quelli che hanno il sole dentro e il mare negli occhi. Quelli che sono la tua vacanza, tutto l’anno.

[Fonte Cover: www.cort.com]